Cannabis terapeutica e uso personale: cosa dice la normativa italiana

Breve panoramica sulla cannabis a uso medico e sulle norme che ne regolano l’utilizzo. Già da qualche anno si sente parlare sempre più di marijuana terapeutica e anche...

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Breve panoramica sulla cannabis a uso medico e sulle norme che ne regolano l’utilizzo. Già da qualche anno si sente parlare sempre più di marijuana terapeutica e anche le norme giuridiche si sono evolute in questo senso.

Attualmente in Italia è possibile, in casi specifici e seguendo determinate linee guida, ricorrere a particolari medicinali a base di cannabis.

Inoltre, è anche possibile acquistare semi di cannabis di alta qualità online e coltivare un esiguo numero di piante di cannabis per esclusivo uso personale e terapeutico, come da sentenza 2388/2022.

Vediamo innanzitutto cosa si intende per marijuana terapeutica e come è gestita la questione dal punto di vista legale.

Che cos’è la cannabis terapeutica?

Solitamente, quando si parla di cannabis, viene spontaneo associare l’idea alla ben nota sensazione di sballo indotta dal consumo di questa sostanza.

Se è vero che la marijuana – o meglio uno dei suoi componenti primari, il THC – ha effetti psicoattivi, è altrettanto certo che il CBD possiede effetti benefici per l’organismo, a fronte di reazioni collaterali quasi inesistenti e comunque di minima rilevanza.

Con cannabis terapeutica si intende, quindi, una determinata varietà di cannabis prodotta specificamente per essere prescritta in ambito medico-sanitario a pazienti affetti da particolari patologie. Per poter essere definita tale, deve rispettare dei valori di riferimento per quanto riguarda la concentrazione dei due principi attivi maggiori, THC e CBD, per l’ appunto.

Nello specifico, ne esistono due tipi: la FM1 e la FM2.

I valori di riferimento per la cannabis terapeutica di tipo FM1 sono dal 5 all’8% di THC e dal 7 al 12% di CBD ed è disponibile in Italia dal 2016. Dal 2018, poi, è possibile acquistare anche il tipo FM2, i cui parametri sono dal 13 al 20% di THC e meno dell’1% di CBD.

Inoltre, la cannabis terapeutica non può essere prodotta da chiunque. La sua coltivazione è in capo all’Esercito e viene prodotta solo dallo stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.

Vediamo ora, più dettagliatamente, com’è regolata la coltivazione per uso terapeutico personale.

L’autoproduzione per uso medico: cosa dice la norma

Stando alla normativa vigente in Italia in fatto di sostanze stupefacenti, coltivare piante di marijuana con una concentrazione di THC superiore allo 0.6% costituisce reato, ai sensi della legge 242/2016.

Ciò nonostante, è possibile che il fatto non assuma rilevanza penale qualora sussistano particolari condizioni definite dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali della Cassazione n. 12348/20.

Nello specifico, la coltivazione domestica svolta senza una predisposizione particolarmente sofisticata di attrezzature e strutture, di un limitato numero di piante, finalizzata esclusivamente al mero consumo personale è ritenuta non perseguibile dal punto di vista penale.

Tuttavia, si tratta di parametri determinati per via giurisprudenziale e non normativa. Ciò significa che non vi è la certezza della loro applicazione e dell’esclusione del rischio di un’indagine penale, dell’eventuale perquisizione e sequestro delle piante e, di conseguenza, di un processo vero e proprio.

Inoltre, la detenzione di cannabis in quanto sostanza stupefacente, anche se autoprodotta, rappresenta illecito amministrativo ed è pertanto sanzionabile ai sensi dell’art. 75 d.P.R. 309/90.

Le pene previste contemplano la sospensione di carta d’identità e passaporto, dei documenti di guida e di eventuali documenti per il porto d’armi. Nel caso in cui questa documentazione non sia in possesso del reo, il giudice dispone il divieto di conseguirla.

Le stesse sanzioni vengono applicate anche ai pazienti che, in caso di controllo, siano sprovvisti della prescrizione medica.

Per i cittadini extracomunitari, poi, sono previste anche particolari restrizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno.

La normativa di riferimento per l’utilizzo della cannabis terapeutica è costituita dal d.m. del 9 novembre 2015 che regola la somministrazione e l’utilizzo della sostanza.

Il decreto ministeriale autorizza la coltivazione di piante di marijuana destinate alla produzione di farmaci di origine vegetale a base di cannabis e specifica i casi in cui la sostanza può essere prescritta.

In particolare, menziona patologie con spasticità associata al dolore (come nel caso della sclerosi multipla), alla sindrome di Gilles de la Tourette e al glaucoma resistente al trattamento con terapie convenzionali.

Inoltre, la cannabis può essere utilizzata anche in caso di dolore cronico in cui il trattamento con medicinali oppioidi, cortisonici o antinfiammatori non steroidei si sia rivelato inefficace.

L’utilizzo della marijuana terapeutica è contemplato anche come antagonista degli effetti collaterali dovuti al trattamento con terapie particolarmente aggressive, quali radioterapia, chemioterapia e terapie contro la sindrome da immunodeficienza acquisita.

Per concludere.

La legislazione in materia di marijuana è ancora piuttosto controversa e farraginosa. Ciò nonostante, negli ultimi anni – complice l’evoluzione in merito, che ha interessato diversi stati del mondo e le scoperte scientifiche a supporto – sembra che la questione cominci a compiere concreti passi in avanti verso un’ancora lontana legalizzazione.

Il mondo degli appassionati della cannabis – e di coloro i quali si affidano alle conclamate proprietà benefiche della stessa – è in costante crescita e di conseguenza aumentano sempre più anche i rivenditori specializzati nella vendita di semi, come SensorySeeds, leader nel settore delle sementi di marijuana.

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