Ue e Usa più uniti per arginare l’espansione della Russia

di Giuseppe Morabito A circa 250 chilometri dalle frontiere orientali dell’UE è in corso un conflitto che coinvolge in gran parte la popolazione civile. Con la chiara intenzione...

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di Giuseppe Morabito A circa 250 chilometri dalle frontiere orientali dell’UE è in corso un conflitto che coinvolge in gran parte la popolazione civile. Con la chiara intenzione di distruggere gli estremisti salafiti jihadisti, il governo di Damasco e il suo alleato russo stanno cercando di schiacciare una delle ultime città sotto il controllo di forze di opposizione supportate dal governo turco.

Il significato strategico di Idlib non deve però essere sovrastimato. La città è a circa 30 km a sud-ovest del confine tra Siria e Turchia. Prima dello scoppio della guerra civile nel 2011, Idlib aveva una popolazione di circa 165.000 persone, composta principalmente da musulmani sunniti, insieme a una significativa minoranza cristiana.

La popolazione è cresciuta notevolmente durante la guerra civile e, in particolare dopo che l’intervento di Mosca del settembre 2015, le forze di opposizione si sono spostate sempre più lontano da Damasco. Un attacco russo-siriano su Idlib è stato inevitabile dopo la caduta di Aleppo alla fine del 2016. La situazione umanitaria è riportata, a oggi, grave.

Secondo le Nazioni Unite ci sono tra 800.000 e 1.000.000 di persone coinvolte nei combattimenti, con le Nazioni Unite che stimano che circa 692.000 persone siano fuggite dalle città a sud di Idlib nelle ultime settimane. Le Nazioni Unite stimano inoltre che circa 400.000 persone stanno cercando di entrare in Turchia, dove si trovano già circa 4 milioni di siriani. L’offensiva militare minaccia anche il conflitto tra i membri della NATO, Turchia e Russia. Durante la notte del 2-3 febbraio Ankara ha certamente organizzato un convoglio militare verso Idlib.

Ciò ha portato a un primo scontro a fuoco tra l’esercito turco e quello siriano che hanno avuto diverse perdite su ambo i fronti e tale situazione si va ripetendo quotidianamente. Il presidente turco Erdogan ha avvertito il suo (ex?) partner/amico, il presidente russo Putin, che se Mosca non riuscirà a controllare Damasco, Ankara agirà. In effetti, ultime notizie suggeriscono che la Russia stia guidando l’offensiva usando la sua supremazia aerea per agevolare e supportare le operazioni terrestri dell’esercito siriano. Affermare che la situazione è “pericolosa” è un marcato eufemismo. Erdogan con le sue idee di grandezza cerca di trascinare la NATO nello scontro.

Ha invocato l’articolo 4 del Trattato facendo finta di dimenticare che ha acquistato missili antiaerei da Putin e che ha utilizzato milizie turcomanne e ex ISIS per eliminare le resistenze curde al confine con la Siria (tutto questo in aperta violazione della Convenzione di Ginevra). Inoltre, sembra esserci poca o nessuna relazione tra ciò che le grandi potenze occidentali affermano come il loro obiettivo e l’entità del loro impegno in Siria. Una completa vittoria russosiriana, e il disimpegno occidentale, renderà molto più difficile l’azione globale contro Daesh, sicuramente in Siria e vedremo poi in tutta l’area. In effetti, se continueranno gli sforzi della Coalizione per contrastare Daesh, svilupparli nella Siria riunificata sotto il controllo di Damasco rappresenterebbe una grave battuta d’arresto o una impossibilità a procedere. Inoltre, nonostante gli sforzi per evitare le operazioni militari statunitensi contro le unità russe, vi sarebbero maggiori possibilità di un nuovo scontro in Siria tra le forze “mercenarie” russe del Gruppo Wagner, le forze del FSB (Servizio Federale Russo – ex KGB) in cooperazione con il GRU (Forze Speciali russe – gli specnaz) e le forze speciali statunitensi a sostegno dei curdi. Quanto precede, atteso che Damasco considera tutte le forze che le si oppongono come “estremisti”.

Le forze curde e il popolo curdo sarebbero intrappolati tra forze russe, siriane e turche (sostenute, come noto, da mercenari reclutati tra gli ex terroristi dell’ISIS) e affronterebbero, nella migliore delle ipotesi, un futuro molto incerto e con la chiara sensazione di essere stati traditi dagli Stati Uniti e dai suoi partner europei. La situazione umanitaria, in proiezione, appare persino più grave di quanto non sia oggi. Mentre la fine dell’offensiva potrebbe, a breve termine, alleviare la sofferenza immediata della popolazione.

L’esperienza passata suggerisce che il governo siriano potrebbe in futuro, cercare di vendicarsi dei popoli e dei gruppi che ritiene abbiano tenuto un comportamento sleale. Gli sforzi delle Nazioni Unite per offrire assistenza alle popolazioni in fuga potrebbero essere bloccati, con i vincitori che per mettere in difficoltà Erdogan e i suoi alleati sunniti faranno di tutto per espellere un gran numero si oppositori e costringerli in Turchia. A livello geopolitico una vittoria russo-siriana segnerebbe l’effettiva fine della guerra civile siriana con una vittoria decisiva per Mosca e concederebbe alla Russia un importante vantaggio strategico.

Non solo tutta la strategia “occidentale” sarebbe messa in un angolo, ma la base aerea militare della Russia a Latakia, a circa 55 km da Idlib, insieme alla sua base navale a Tartus sarebbero in sicurezza per anni a venire e, di conseguenza, le due basi consentirebbero alle forze russe di esercitare un’eccezionale influenza strategica nel Mediterraneo. In tale contesto, il piano di pace per il Medio Oriente del presidente Trump del gennaio 2020 sembra poco più che un tentativo di deviare le critiche per la mancanza di una leadership americana in Siria e per la Siria.

La sua richiesta alla NATO di fare di più in Medio Oriente sembra poco più che uno sforzo per evidenziare la quasi totale mancanza di influenza dell’Europa su un conflitto sul fianco di maggiore importanza strategica. Il Presidente Putin, con una sola mossa, metterebbe in risalto il profondo divario che esiste tra americani ed europei e non solo sulla Siria (tra poco anche in Libia), con implicazioni forse profonde per la sicurezza e la difesa dell’Europa. Anche i problemi per la coesione europea sono si rilievo.

Mentre il presidente Macron di Francia e il cancelliere Merkel di Germania hanno indetto una riunione del Four Power con i presidenti Erdogan e Putin che si terrà il 5 marzo, il ruolo e l’efficacia degli europei nel “fiasco” siriano sono stati senza spessore strategico. Da notare che purtroppo l’Italia è di nuovo fuori partita anche se il nostro capo del governo ha appena incontrato il presidente francese.

Semplicemente in Europa non appare ci sia unità di sforzi e di scopo. La Gran Bretagna, una delle maggiori potenze europee che ha firmato l’accordo nucleare ormai defunto con l’Iran, è completamente estromessa dall’ “asse” franco-tedesco. L’Unione Europea e la sua struttura “buffa” di difesa non dà segni di esistere. Troppo spesso i leader europei parlano di valori con senza avere idea di come difenderli.

È un fallimento per il quale purtroppo i cittadini europei pagheranno un prezzo elevato, in particolare se Francia e Germania, impegnate solo nel salvataggio strategico della faccia, falliranno nuovamente. Con quattro milioni di rifugiati probabilmente esclusi dal ritorno a casa in Siria, ci si aspetta che molti altri cerchino rifugio in Europa.

A questo punto Daesh potrebbe trovare nuova linfa vitale e noi, gli europei, diventeremo ancora più vulnerabili agli atti di terrorismo dei tagliagole sunniti. Infine, con il palese fallimento della politica europea nei confronti del Medio Oriente e del Nord Africa paesi o le fazioni in bilico cercheranno il supporto di Mosca.

Per esempio questo avviene con il Generale Haftar in Libia e, non sia mai, anche Teheran potrebbe essere maggiormente incoraggiata a guardare all’amicizia con la Russia dopo la positiva neutralizzazione del suo direttore strategico. Alcuni analisti considerano addirittura che la perdita di Idlib renderebbe una guerra totale mediorientale ancora più probabile di quanto non fosse prima dell’attacco russo-siriano. A parere di molti l’attenzione immediata, quindi, deve essere indirizzata alla riduzione della sofferenza umanitaria.

Nel medio e lungo termine è nell’interesse sia degli americani sia di tutti i paesi europei lavorare insieme per mitigare il danno strategico e politico causato da questa sconfitta, soprattutto, per quello che è, per la loro influenza nella regione, per la NATO e per Sicurezza europea. Perché ciò accada, la politica su entrambe le sponde dell’Atlantico dovrà studiare una strategia comune perché, in maggior misura per i paesi UE ciò che sta accadendo in Idlib è anche sintomatico di un ritiro strategico dagli eventi mondiali.

Nel giro di un secolo gli europei sono passati dall’avere un’eccessiva interferenza coloniale in Medio Oriente e Africa settentrionale, che si è rivelata disastrosa per la popolazione, a un livello di comprimari senza coesione. Per arginare la capacità strategica russa e la disonestà e il doppiogiochismo turco è assolutamente necessario un impegno massiccio, anche con, i mai da mettere in secondo piano, “boots on the ground”, in una regione vitale per la sicurezza dell’Europa, e che potrebbe rivelarsi disastrosa per tutta l’UE con l’Italia in prima linea.

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