Quelli della San Giorgio: oltre il mito

di Alberto Comuzzi – Nella notte tra il 21 e il 22 Gennaio 1941, nella baia di Tobruk, un gruppo di marinai dell’incrociatore messo a difesa antiaerea della città...

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di Alberto Comuzzi – Nella notte tra il 21 e il 22 Gennaio 1941, nella baia di Tobruk, un gruppo di marinai dell’incrociatore messo a difesa antiaerea della città libica, affondava la propria nave perché non cadesse nelle mani degli inglesi.

Sono trascorsi ottant’anni da quella notte del 22 Gennaio 1941 quando i trenta ufficiali e i 669 tra sottufficiali e marinai dell’incrociatore corazzato San Giorgio, nave da battaglia di 1ª classe della Regia Marina Italiana, cadevano prigionieri degli inglesi che avevano conquistato, via terra, la città di Tobruk.

In realtà un gruppetto di marinai riuscì a raggiungere, in modo rocambolesco su un piccolo peschereccio, le coste della Calabria e a portare in salvo la bandiera di combattimento della nave, ma la maggior parte dell’equipaggio finì nei campi di prigionia in Egitto, in Sudafrica e in India.

La nave, che era ormeggiata nella baia di Tobruk con il compito di rinforzare le difese del presidio terrestre, fu auto affondata per evitare che finisse in mani nemiche, ma avrebbe potuto salpare verso l’Italia correndo pure il rischio di essere attaccata da sottomarini o da navi di superficie britannici.

All’equipaggio, però, fu negato il permesso di prendere il mare. Il motivo non fu mai accertato, ma pare che a Supermarina fossero giunte insistenti pressioni da parte dell’alleato tedesco il quale avrebbe preteso che la piazza di Tobruk dovesse essere difesa fino all’ultimo uomo prima di capitolare.

Nel periodo tra il 10 Giugno 1940 e il 21 Gennaio 1941 la San Giorgio subì complessivamente 213 attacchi aerei nemici abbattendo 47 apparecchi accertati. In pratica dal giorno dell’entrata in guerra a quello della caduta della cittadina libica, la nave fu oggetto quotidiano di un attacco aereo.

Gli inglesi tentarono di affondare la nave il 12 Giugno, via mare, facendola attaccare da due incrociatori leggeri. Il tentativo però fallì perché l’equipaggio della San Giorgio, molto bene addestrato, con la prima salva dei suoi quattro cannoni da 254/45, colpì una delle due navi inglesi che sbandò e s’allontanò velocemente portandosi fuori tiro.

Da quell’episodio gli inglesi non provarono mai più ad attaccare dal mare con navi di superficie l’incrociatore italiano, ma lo sottoposero a martellanti attacchi aerei e anche con diverse incursioni di idrosiluranti, mai andate a buon fine. Al termine della guerra furono rinvenuti una cinquantina di siluri imbrigliati nelle reti di protezione della nave.

Le rabbiose risposte della contraerea della nave (che abbatté anche l’aereo di Italo Balbo giunto incidentalmente nel cielo di Tobruk durante un’incursione aerea britannica) suscitarono, nell’Alto comando inglese, l’ammirazione per lo spirito combattivo dei marinai della San Giorgio, ma anche tanto rancore nei loro confronti.

La propaganda e la guerra psicologica per fiaccare il morale dell’equipaggio spinse il colonnello Harold Stevens (il “colonnello buonasera” che parlava in italiano dai microfoni della BBC) ad insinuare che «quelli della San Giorgio non fossero altro che dei galeotti ai quali il Regime fascista aveva fatto grazia purché s’imbarcassero su quell’incrociatore».

A parte una sparutissima minoranza di ufficiali e di sottufficiali di carriera, l’intero equipaggio era costituito da giovani di leva, tutti con una fedina penale immacolata, chiamati a fare il loro dovere nel servire la patria. Tra loro nessun guerrafondaio o esaltato, bensì uomini coraggiosi e con un alto senso del dovere come, per citarne uno dei tanti, l’ingegnere lecchese Antonio Badoni.

È stato scritto che «le quattro medaglie d’oro al valor militare che fregiano la bandiera della San Giorgio, il suo comandante e due uomini del suo equipaggio, sono un capitale di gloria che non sarà forse mai eguagliato».

Sono parole da ricordare a tanti giovani (e non) che, sedotti dall’obnubilante utilizzo dei social media, consumano spesso l’esistenza in un palpabile vuoto di valori. Quei settecento uomini della San Giorgio furono valorosi marinai e ancor più, tornati dalla prigionia in Italia, furono parte nobile e vigorosa di quel patrimonio umano che rimise in piedi il nostro Paese.

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