Primo maggio: la Festa del Lavoro (che non c’è)

di Alberto Comuzzi – È dal 1947 che la festa del lavoro e dei lavoratori è diventata ufficialmente festa nazionale ed è celebrata il 1° Maggio in Italia....

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di Alberto Comuzzi – È dal 1947 che la festa del lavoro e dei lavoratori è diventata ufficialmente festa nazionale ed è celebrata il 1° Maggio in Italia. Il Fascismo l’aveva abolita nel 1923 e l’aveva sostituita e fatta coincidere con la festa del Natale Roma, 21 Aprile.

In realtà la scelta della data risale al 20 Luglio 1889 quando a Parigi al congresso della Seconda Internazionale socialista i partecipanti chiesero alle autorità di ridurre la giornata lavorativa a otto ore. Il 1° Maggio 1886, tre anni prima, durante una manifestazione ad Haymarket negli Stati Uniti, sempre per la riduzione dell’orario di lavoro, 11 operai furono uccisi.

Quel giorno divenne anche per i lavoratori francesi la data simbolo da celebrare in memoria delle vittime e dei diritti invocati. Fin qui l’origine storica di una giornata che, nel tempo, nel nostro Paese, è diventata un momento di forte aggregazione dei cittadini politicamente vicini ai partiti e ai sindacati di sinistra. Il tempo passa e mutano le situazioni.

Ciò che era vissuto come un momento di alto valore simbolico oltre che come gradita pausa di rigenerazione delle forze fisiche – da operai schiavizzati fino a 16 ore di lavoro quotidiano era molto apprezzato anche un giorno in più di riposo – oggi è percepito soprattutto come occasione di divertimento.

Da anni Cgil Cisl e Uil organizzano, in piazza San Giovanni a Roma e all’Arco della pace a Milano, un concerto con artisti e musiche scelte per attirare un pubblico giovanile che – sia detto senza offesa per alcuno – si aggrega con motivazioni lontane anni luce da quelle che, il 1° Maggio, facevano scendere in piazza i loro genitori o nonni.

Dopo quello che è accaduto in questi ultimi dieci anni, più che una festa del lavoro quella odierna dovrebbe essere una festa per il lavoro. La globalizzazione e l’introduzione delle nuove tecnologie ha drasticamente ridotto i posti di lavoro, soprattutto di coloro che non hanno elevate qualificazioni.

Le macchine hanno sostituito l’uomo e gli operai sono praticamente scomparsi. Milioni di Cipputi che nelle catene di montaggio (le ultime create potevano vantare moderni criteri ergonomici) trovavano pur sempre un’occupazione sono stati sostituiti da infallibili robot manovrati da pochi tecnici specializzati. Un mondo è finito nello spazio di pochi decenni.

Intere professionalità sono sparite. Chi ricorda i dimafonisti, le dattilografe, i garzoni delle varie botteghe di alimentari e non, i facchini, le guardarobiere? Lo sviluppo tecnologico ha sicuramente favorito la nascita di nuove professioni, ma queste non hanno bilanciato quelle perse. Forse è giunto il momento di dare nuovo senso al 1° Maggio, magari riproponendolo come un giorno in cui tutti, occupati e disoccupati, tornino a considerare il lavoro come una benedizione divina e non come “un male necessario”.

Per troppo tempo in Italia ha prevalso una cultura che disprezzava il lavoro concepito esclusivamente come fatica, alienazione. Gli imprenditori sono stati demonizzati, quasi fossero spietati affamatori di popoli. Adesso che il lavoro scarseggia si comincia a rivalutarlo. Meglio tardi che mai.

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