La crisi libica mostra la debolezza dell’Europa

Papa Francesco, in perfetta sintonia con i suoi più recenti predecessori e con il pensiero stesso della Chiesa, insiste sulla presa di coscienza del valore della pace. Non...

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Papa Francesco, in perfetta sintonia con i suoi più recenti predecessori e con il pensiero stesso della Chiesa, insiste sulla presa di coscienza del valore della pace. Non a caso il primo giorno dell’anno è dedicato, dal mondo cattolico, proprio a questo importantissimo tema.

Lo scorso primo Gennaio nel corso del tradizionale “Angelus” il Papa ha rilanciato “urbi et orbi” l’appello al dialogo e alla comprensione tra i popoli non dimenticando di ringraziare sia le organizzazioni che lavorano per la distensione e la fratellanza internazionale, sia i tanti militari che, nelle aree calde del pianeta, sono lì ad impedire che focolai d’instabilità non deflagrino in devastanti conflitti.

Se l’appello del Pontefice è stato preso sul serio, almeno sino ad oggi, dai leader dei più importanti Paesi – Stati Uniti, Cina e Russia – qualche preoccupazione comincia a destare il comportamento di altri leader come quello turco, Recep Tayyip Erdoğan e la guida suprema iraniana, Ali Khāmeneī.

Da parte di questi moderni dittatori c’è un malcelato risentimento verso l’Occidente, visto come nemico da abbattere. L’Iran finanzia da anni un’organizzazione politico-militare come Hezbollah, che ha come obiettivo primario la distruzione di Israele e la fine del “riprovevole sistema unipolare egemonizzato dagli Stati Uniti”.

La Turchia, dimenticando le basi di stato laico volute dal suo primo grande presidente Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938), sembra avviarsi con il nuovo corso impresso da Erdogan ad ambiziose politiche espansionistiche quasi a voler ricostruire l’impero ottomano.

Il leader turco appare sempre più come un dittatore che, consolidato il potere interno dopo avere domato, in meno di 48 ore, un finto golpe, ha provveduto ad annettersi una lingua di territorio occupato dai curdi a Nord della Siria profonda una trentina di chilometri. Lì, quasi certamente, collocherà i rifugiati del conflitto siriano per sostenere i quali l’Europa ha già versato 3 miliardi di euro ed altrettanti si appresta a versarne.

A fine Novembre Erdogan ha firmato un trattato con Sarraj, presidente del governo di unità nazionale libico riconosciuto dall’ Organizzazione delle Nazioni Unite, in base al quale è legittimato ad intervenire militarmente a suo supporto. Poiché il generale Khalifa Haftar, oppositore di Sarraj, non desiste nella sua azione militare conto il Governo libico internazionalmente riconosciuto, Ankara sta dando il via libera ad un contingente di 6.000 uomini di posizionarsi in Libia.

Quello che potrà accadere subito dopo è facile da prevedere. Erdogan avrà la possibilità di aprire e chiudere il rubinetto, per “spedire” profughi, rifugiati, migranti e, perché no?, terroristi dell’Isis in Europa: a Sud verso l’ Italia, a Est verso la Germania, attraverso la Grecia e i Balcani.

Un capolavoro messo a segno innanzi tutto grazie alla sciagurata incapacità di noi italiani di esprimere una classe dirigente politica in grado di tutelarci; e in seconda battuta, grazie ad un’irrilevante politica estera dell’Europa. D’altra parte era piuttosto ingenuo pensare che una Bruxelles a trazione franco-tedesca si dovesse preoccupare di ciò che accadeva in Libia, alle porte dell’Italia.

“Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”, ammonisce il proverbio; e noi italiani dobbiamo solo rimproverare noi stessi se da tempo non riusciamo a toglierci dai guai che ci stiamo procurando. Questa crisi libica che, per la prima volta dal 1945, può avere conseguenze serie sulla stabilità del nostro Paese rende evidenti alcuni fatti inoppugnabili.

La Francia, membro dell’Ue, ha destabilizzato la Libia per trarre vantaggi economici incurante di quelli che avrebbero potuto essere gli interessi di un altro Paese membro, l’Italia. Dal che si deduce semplicemente che non esiste l’Europa, ma esistono gli interessi specifici dei singoli Stati europei.

L’assenza dell’ombrello protettivo degli Stati Uniti ha consentito alla Turchia e alla Russia (che garantirebbe sostegno al generale Haftar) di entrare nel Paese nordafricano escludendo, di fatto, l’Europa, dimostratasi incapace di risolvere importanti questioni di politica estera.

La stessa Francia, presente in Libia per tutelare gli interessi della propria compagnia petrolifera, ora dovrà vedersela con Russia e Turchia, due Paesi che non fanno parte dell’Ue.

La situazione più complicata resta però a noi italiani e non tanto per gli approvvigionamenti energetici (dalla Libia importiamo circa il 10% del nostro fabbisogno) quanto per la “bomba umana” costituita da profughi, anche libici, che potrebbe riversarsi sulle nostre coste.

Si apre un decennio tutt’altro che facile per il nostro Paese. Prima ce ne rendiamo conto e prima possiamo cominciare a ricostruirlo. Dobbiamo realizzare un nuovo Rinascimento cominciando a rivedere l’impianto statuale e tornando a far prevalere in ogni campo la meritocrazia. Ai vertici devono arrivare i più preparati, anche eticamente.

La solidarietà verso i più deboli va garantita, ma non dimenticando che il modo più efficace per praticarla è imparare a badare a sé stessi non pesando sugli altri.

Laicamente, tenendo conto delle nostre antichissime tradizioni storiche, dobbiamo chiedere poi alla Chiesa di non stancarsi di annunciare il Vangelo e di non rinunciare ad educare giovani e anziani ai valori cristiani. Per non dovere negoziare la pace dobbiamo avere la forza d’imporla.

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