Don Sturzo e i 100 anni dall’appello “Ai liberi e forti”

di Giulio Boscagli – Il 18 Gennaio 1919 è la data di fondazione del Partito Popolare Italiano. In quel giorno viene infatti diffuso l’Appello “Ai liberi e forti” sottoscritto...

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di Giulio Boscagli – Il 18 Gennaio 1919 è la data di fondazione del Partito Popolare Italiano. In quel giorno viene infatti diffuso l’Appello “Ai liberi e forti” sottoscritto da Luigi Sturzo, segretario politico, e dai membri della Commissione provvisoria Giovanni Bertini, Giovanni Bertone, Stefano Cavazzoni, Giovanni Grosoli, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri, Umberto Merlin, Giulio Rodinò e Carlo Santucci. L’Appello faceva da introduzione al primo programma del partito articolato in dodici aree di proposta.

Da quale storia e in quale contesto nasce questa iniziativa? La nascita dello Stato unitario, la fine dello Stato Pontificio con la presa di Roma e il conseguente trasferimento nell’Urbe della capitale del nuovo stato avevano prodotto una drammatica spaccatura nella realtà del cattolicesimo italiano che aveva portato alla decisione (poi confermata autorevolmente) di non partecipare alle elezioni (“né eletti né elettori”) come segno di rifiuto della legittimità dello Sato Italiano. Agli inizi del Novecento, tuttavia, era stata permessa la partecipazione alle elezioni locali mentre nelle elezioni politiche del 1913 il cosiddetto Patto Gentiloni aveva riportato i cattolici alle urne e anche all’ingresso di alcuni in parlamento grazie all’accordo con i liberali.

Lo scoppio della Grande Guerra e le sue drammatiche conseguenze avevano prodotto un vero “cambiamento d’epoca”. Crollati i grandi imperi che avevano governato la gran parte del mondo di allora, scompaginati popoli e famiglie, le trincee alpine e le doline del Carso avevano unificato la nazione più delle baionette dei Savoia. Un popolo avanzava nuove rivendicazioni di pace, di terre da coltivare, di diritti da esercitare. Papa Benedetto XV aveva tolto ogni impedimento alla partecipazione dei cattolici alla vita politica del dopoguerra di fronte ai grandi bisogni di ricostruzione che ne erano derivati

Questo rese possibile l’appello di Sturzo e la fondazione del Partito Popolare.

Nell’Appello troviamo innanzitutto il sentimento di appartenenza nazionale con cui si rivolge “a tutti gli uomini liberi e forti che in questa grave ora sentono il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti “. Si chiude così il Risorgimento “anticattolico”, la frattura tra Chiesa e Stato durata mezzo secolo e si chiude con l’affermazione chiara che i cattolici non sono una controparte dello Stato ma una componente essenziale della sua storia e della sua attualità.

E’ da questa consapevolezza che viene proposta una concezione dello stato che mantiene tutta la sua attualità: “A uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private”.

Non è difficile leggere in queste affermazioni la geniale sintesi politica, fatta da don Sturzo, di tutta l’esperienza dei decenni precedenti in cui i cattolici (privati della partecipazione politica) si erano dedicati alla costruzione di opere nel campo sociale ed economico mettendo in pratica l’insegnamento secolare della Chiesa e soprattutto le indicazioni profetiche della Enciclica Rerum Novarum, promulgata dal papa Leone XIII nel 1891.

Dopo aver accennato ad alcune necessarie riforme istituzionali (elettorale, delle camere, della burocrazia, della giustizia…), l’Appello si sofferma sul cuore del problema: “Ma sarebbero queste vane riforme senza il contenuto se non reclamassimo, come anima della nuova Società, il vero senso di libertà, rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, non solo agl’individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche”.

Il richiamo alle “gloriose tradizioni italiche” ci fa comprendere il valore “laico” della proposta di Sturzo. Il sacerdote ha ben presente che l’unità dell’Italia è innanzitutto un fatto di cultura, e di tradizioni. Nessuno dubita che Dante e Petrarca, Giotto e Masaccio e tanti altri artisti e letterati siano “italiani” ben prima e al di là della sopravvenuta unità nazionale. Il modo con cui questa unità è stata realizzata è stata la causa prima dell’allontanamento dei cattolici dallo Stato e dal senso di appartenenza allo Stato.

I cattolici, con Sturzo e i primi popolari, rivendicano il loro essere italiani a pieno titolo, non dei cittadini tollerati dalla prevalenza dell’ideologia liberal-massonica che tanto influsso ebbe nelle vicende risorgimentali.

Tanto è vero che l’appello si conclude ricordando che: “Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi princìpi del cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari che nella forza dell’organismo statale centralizzato resistano alle nuove correnti affrancatrici”.

Se il linguaggio dell’Appello in certe sue espressioni risente dell’epoca, tuttavia nella sostanza rimane un documento che ancora oggi può essere di aiuto per una presenza significativa nella società italiana. A condizione tuttavia, io credo, che si tenga conto che l’Appello (e il conseguente programma politico) non sono un vademecum buono per ogni occasione ma l’esito di una riflessione intelligente sul ruolo della Chiesa nella educazione del popolo e della presenza di opere generate da questo popolo cattolico cui don Sturzo ha saputo dare rilevanza di programma politico.

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