Il Coronavirus ha stravolto le nostre esistenze. È una frase banale da dire, ma vera. Ci sono moltissimi articoli che parlano di come sono cambiate le nostre vite dal punto di vista individuale, sociale e lavorativo. Una cosa che ancora non si è detta chiaramente (ma che si è sentita dire in un modo o nell’altro) è quanto questa pandemia abbia portato a guardare con altri occhi gli psicologi e le psicologhe.
Prima, chi possedeva una laurea triennale in psicologia o una specialistica in questa stessa area veniva considerato un po’ il “medico dei pazzi”, indipendentemente dal fatto che il titolo di studio fosse stato acquisito in un’università tradizionale o in una telematica come UniCusano. Si fa ancora fatica ad associare la figura dello psicologo con l’idea di benessere mentale a cui ognuno di noi dovrebbe aspirare anche se non soffre di disturbi di personalità o altro.
Con lo sviluppo di una pandemia che ha colpito tutto il globo, invece, molte persone hanno iniziato a sentirsi stressate, frustrate e isolate, ma anche più ansiose e più spaventate. Lo psicologo è colui a cui bisogna rivolgersi in questi casi perché è colui che ha studiato i meccanismi alla base di queste emozioni. In particolar modo, assistiamo alla diffusione di una vera e propria ipocondria da Covid-19, anche (e forse soprattutto) ora che siamo finalmente approdati nella Fase 2 e abbiamo recuperato parte delle nostre libertà.
Per ipocondria in psicologia si intende un’eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute. Essa può essere scatenata da qualsiasi patologia, ma è normale che in questa situazione, la paura principale è quella di essere contagiati dal coronavirus tanto da percepire qualsiasi minimo sintomo come un segnale inequivocabile della presenza del virus nel nostro organismo. Inoltre, quando si soffre di ipocondria si prova sempre uno stato di ansia e di allerta che spinge a dei comportamenti ossessivi (come l’andare a controllare sempre il numero dei contagi del proprio territorio o lavarsi e igienizzarsi le mani più del dovuto), evitanti (come restare chiuso in casa ed evitare di uscire per non essere contagiati) o addirittura aggressivi (quando si cerca per forza un colpevole e si criticano gli altri o li si giudica untori).
Avere paura non è sbagliato. Si tratta di una delle emozioni più istintive che l’essere umano può provare. È utile, per quanto spiacevole, perché ci mette in allarme rispetto a un pericolo e ci permette di trovare una soluzione. Quando è troppa, però, ci immobilizza e diventa più deleteria che altro. Avere timore del coronavirus è giusto perché ci spinge a essere prudenti. Gli esperti ci hanno indicato quali sono le norme di sicurezza da seguire: basta questo. Eccessivi allarmismi non fanno altro che danneggiare il nostro benessere mentale e anche fisico.
Per chi proprio non riesce a liberarsi della paura del coronavirus, una soluzione potrebbe essere provare a parlare con uno psicologo che aiuti a razionalizzare la situazione e a capire se dietro questa condizione non si nasconda qualcos’altro che potrebbe tornare a dare preoccupazioni.
È vero che il coronavirus ci ha rivoluzionato la vita. Ma dalle rivoluzioni può nascere anche qualcosa di buono.
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