Generale Morabito: a Berlino non finisca come Londra

di Donatella Salambat Scriviamo a poche ore dall’inizio del vertice sulla crisi libica, che si svolge a Berlino, domenica 19 Gennaio. Ai lavori dovrebbero essere presenti Antonio Guterres,...

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di Donatella Salambat Scriviamo a poche ore dall’inizio del vertice sulla crisi libica, che si svolge a Berlino, domenica 19 Gennaio. Ai lavori dovrebbero essere presenti Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, i due leader libici, Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar, il presidente francese, Emmanuel Macron, l’egiziono Abdel Fattah al Sisi e, per l’Italia, il premier Giuseppe Conte insieme al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Per gli Stati Uniti sarà presente il segretario di Stato, Mike Pompeo, il consigliere per la sicurezza nazionale, Robert O’Brien; per la Russia il presidente Vladimir Putin e per la Turchia, Recept Tayyip Erdogan. Un incontro voluto dall’Unione Europea per affrontare la crisi del Paese Nord Africano che vede riuniti a Berlino i Paesi con i maggiori interessi economici nell’area e che dovranno fare sfoggio di tutta la loro diplomazia per giungere ad una soluzione che porti ad una tregua. In attesa dell’importante evento la redazione di AlpiMediaGroup ha ottenuto in esclusiva un’ ampia intervista con il generale Giusppe Morabito, uno dei massimi esperti di questioni non solo militari, ma anche di strategie geopolitiche internazionali. Il generale Giuseppe Morabito, 60 anni, trentotto dei quali vissuti all’interno delle Forze Armate sia al comando di reparti operavi, sia in ruoli dello Stato Maggiore, dal 2016, lasciato il servizio attivo, è membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (IGSDA), membro del Collegio dei Direttori della Nato Defense College Foundation (NDCF) e membro dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (UNUCI). Ufficiale del Corpo dei Bersaglieri ha partecipato a varie missioni all’estero, in particolare in Albania, come Capo di Stato Maggiore del Contingente Nato Kfor-Commz (W) (2000) e Nhqt – Tirana (2002). Dal luglio 2012 al luglio 2016 ha ricoperto la carica di Direttore della Middle East Faculty dell’ Ndc (Nato Defens College).

Generale, ha la sensazione che Trump non abbia più fiducia degli europei?

L’amministrazione USA ha deciso di essere presente alla conferenza sulla Libia di Berlino con il segretario di stato Usa Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien. Insieme con loro e con grande attivismo diplomatico europeo pare ci saranno tutti coloro hanno interesse nell’area. La presenza americana evidenzia l’intenzione di tornare a essere protagonisti nella crisi libica limitando nel frattempo il dinamismo diplomatico di Putin. La cancelliera Angela Merkel è interessata alla riuscita della conferenza di Berlino, sia per dimostrare la leadership tedesca in Europa, sia perché mercati del petrolio stabili sono vitali per l’economia della Germania. Per gli americani e il loro presidente, Donald Trump, la mossa di essere presenti significa in primo luogo “controllare” cosa avviene e come si muove l’Europa (si legga pure con un segno di scarsa fiducia) e in un secondo piano la possibilità di stabilire sulla Turchia una sorta di controllo (Erdogan deve smettere di fare il doppio gioco sostenendo e proteggendo gli ex tagliagole dell’Isis e, pur essendo al capo di un Paese membro della NATO, andare a braccetto con Russia e Iran). “L’obiettivo non è il dialogo fra le parti interne al Paese, ma il dialogo fra gli attori internazionali” e “Saremmo felici di una tregua ben funzionante che quanto prima questa sarà in vigore, tanto meglio sarà” sono stati due dei concetti alla base delle dichiarazioni del ministero degli Esteri tedesco a premessa della conferenza. Spero che questa conferenza non faccia la fine di quella di Londra (29/03/2011) che con la presenza della Clinton e Cameron si è poi dimostrata un fallimento epocale!

Che rischi corrono i nostri militari impegnati nei teatri del Medioriente?

Il ministro della Difesa Italiano Guerini, durante la recente audizione in Commissione Difesa di Camera e Senato, ha reso pubblica la situazione dei contingenti militari italiani operativi in Medio Oriente. Per quanto ha tratto con il Mediterraneo “allargato”, area d’interesse vitale per l’Italia, ha confermato che c’è un’instabilità diffusa che comprende sia il tema dell’immigrazione sia la sicurezza energetica e dell’ottenimento di materie prime. Per tale ragione a parere del governo è essenziale la presenza dei militari italiani nell’area del Mare Nostrum. In l’Iraq ci sono circa 900 militari, di cui 288 in Kuwait, quale parte della Coalizione Globale per la lotta all’ISIS e nella missione NATO. In particolare per i militari italiani impegnati nel territorio iracheno, visto che sono stati attivati i protocolli in sicurezza nelle aree più pericolose e atteso che non si prevede un ulteriore innalzamento della tensione, non è previsto un ritiro perché, come logico, porterebbe alla compromissione dei risultati ottenuti anche con il sacrificio di molte vite. In Libano ci sono più di mille soldati italiani nell’ambito della missione ONU UNIFIL, mentre in Afghanistan si trovano 800 militari nell’ambito dell’operazione della NATO. In tali aree, spero per poco per non perdere di credibilità, sono state, a titolo puramente precauzionale, sospese le attività addestrative delle forze locali. In Libia ci sono oggi 240 militari italiani. Il “core business” è l’ospedale di Misurata (che è uno dei centri focali della crisi). Nell’auspicabile evento di un cessate il fuoco, sarà necessario ripensare e rimodulare l’impegno italiano anche su richiesta del governo libico, volto obbligatoriamente al monitoraggio e al rispetto del cessate il fuoco e alla protezione del personale ospedaliero che rischia di dover soccorrere oltre alla popolazione locale anche i combattenti irregolari ivi compresi i mercenari e terroristi senza scrupoli che il presidente turco non vede l’ora di ri-schierare in zona. In sintesi il ministro Guerini ha confermato la presenza dei militari italiani in Libia, Iraq, Afghanistan e Libano per tutelare gli interessi strategici naturali, gli obblighi assunti dall’Italia e per non mancare di supportare le richieste avanzate dai governi locali a Roma. Il governo, ripeto, considera i rischi per i nostri “accettabili” in misura degli impegni assunti.

Se, come pare possibile, Russia e Turchia occuperanno la Libia che cosa suggerirebbe di fare? Ritirarci o aumentare la forza presente per meglio proteggere gli impianti dell’Eni?

Mi auguro che a Berlino si raggiunga una mediazione ragionevole e che quanto esposto nella domanda sia escluso. La situazione resta appesa alle resistenze del generale Haftar, che finora non ha voluto mettere la sua firma al cessate il fuoco promosso da Putin (che finora l’ha sostenuto ma potrebbe perdere la pazienza) e quanto preteso da Ankara, alleata del governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj. Nessun analista o politologo con un minimo di ragione può azzardare un’ipotesi su cosa farà la Turchia. Il suo presidente non è credibile e non rispetta quasi mai regole e parola data. L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamè, ha incontrato il presidente del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale Al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e ha discusso dell’evoluzione della tregua a Sud di Tripoli e degli ultimi aggiustamenti prima della conferenza di Berlino. Le Nazioni Unite hanno ammonito che se la produzione di petrolio libica fosse bloccata il primo a soffrirne sarebbe il popolo libico ma non credo che tale appello colga il segno visto che con una mossa a sorpresa, molto pericolosa per il governo di Tripoli le milizie e le tribù a lui fedeli a Haftar hanno deciso di chiudere i pozzi petroliferi in tutta la “mezzaluna petrolifera” dell’Est che è sotto il loro controllo. Questo a breve-medio termine potrebbe bloccare anche le estrazioni di petrolio, ed esaurire il flusso di dollari che fino ad oggi è andato tutto alla Banca centrale di Tripoli, che poi divideva con Bengasi parte delle risorse e portava beneficio a tutte le popolazioni insistenti nell’area. È augurabile che si torni per davvero alla politica e alla diplomazia per non compromettere la produzione di petrolio in Libia. Questa mossa avrebbe conseguenze devastanti prima di tutto per il popolo libico, che dipende dal libero flusso di petrolio per il suo benessere. Non si tratta di proteggere l’Eni o il personale italiano ma tutti i libici nell’area.

Perché l’UE non si è ancora dotata di una propria forza di pronto intervento? Chi e che cosa impediscono la creazione di un esercito europeo?

Tutti gli sforzi di anni i tal senso sono sfociati nella proposta della “Cooperazione strutturata permanente” (acronimo PeSCO, dall’inglese Permanent Structured Cooperation), che è un’iniziativa dell’Unione europea nell’ambito della Politica di sicurezza e di difesa comune volta all’integrazione strutturale delle forze armate di 25 dei 28 stati membri. La PeSCO è stata prevista dal Trattato di Lisbona del 2009 ed avviata nel 2017 e non richiede l’adesione di tutti gli stati membri per poter essere avviata. C’è comunque una frase chiave nel PeSCo factsheet che recita: “PeSCo è un’infrastruttura e un processo, basati su un Trattato, creato per approfondire la cooperazione di difesa tra gli Stati Membri Ue che siano capaci e intenzionati a farlo”. Quindi dipende tutto dalla volontà politica dei singoli Paesi membri UE di usare tale strumento. Questa volontà, spesso soggetta a interessi divergenti in politica estera, di fatto non si concretizza mai in un intento condiviso e, pertanto, gli strumenti esistenti restano inutilizzati. Funzionerebbe solo se gli Stati europei hanno intenzione di usarlo per realizzare qualcosa insieme. Quindi c’è da chiedersi che cosa gli Stati europei sono disposti a realizzare insieme visto che la stessa politica estera comune lascia molto a desiderare? Scordiamocelo nel breve tempo ed escludiamolo come strumento da utilizzare in Libia.

Ha ancora senso la Nato alla luce di fatti come la crisi della Libia?

La NATO è intervenuta in Libia nel marzo 2011 su mandato ONU senza però ottenere i risultati che si speravano. Alla domanda rispondo citando l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, già Segretario generale ad interim della NATO che a dicembre scorso commentava a una domanda simile dicendo che: “L’Alleanza non è certo decisiva, forse neanche molto influente, nel giorno per giorno dell’attualità internazionale”. Rimane però una formidabile assicurazione sulla vita dei nostri Paesi in caso di bisogno, quando si è in pericolo o vi è una crisi da dover risolvere”.

Davanti ad un governo che mostra limiti vistosi non si genera frustrazione nelle Forze armate?

Non mi occupo di politica, mi limito nel mio piccolo ad analizzare i fatti e proporre la mia visione. I soldati italiani sono tra i migliori al mondo e in alcuni scenari, per svolgere alcuni compiti, sono i migliori in assoluto. I governi che si succedono fanno le loro valutazioni politiche e prendono le loro decisioni. Sono stato testimone del ritiro dell’esercito spagnolo dall’Iraq dopo l’attacco terroristico di Atocha (Madrid 2004), questo ha, sì, generato frustrazione negli amici spagnoli. Spero non avvenga mai in Italia.

Lei crede che gli americani stiano sottovalutano la capacità iraniana di utilizzare il mito di Souleimani come fattore di mobilitazione nazionale?

Bisogna subito sgomberare il campo da dubbi e balle di politologi al soldo dell’Iran. Soleimani era a capo di una banda di terroristi e tagliagole esperti di guerra asimmetrica e di soppressione nel sangue delle rivolte popolari. Nessuno mette in dubbio che avesse delle eccellenti capacità di pensiero strategico e grande leadership, ma era il capo di terroristi assassini che hanno combattuto anche ISIS utilizzando i suoi stessi metodi. Non c’è spazio per una ragionevole replica. L’uccisione del capo dei Pasdaran segna però la fine della convergenza degli interessi strategici tra le forze in campo contro ISIS e il rafforzamento delle posizioni di contrasto tra l’Iran e gli altri attori in teatro primi tra tutti Usa, Israele e Arabia Saudita. L’uccisione del generale Qasim Soleimani renderà più critica la stabilizzazione dell’Iraq e potrebbe consentire all’ISIS di alleggerirsi in parte del contrasto iraniano. Non va dimenticato che la forza dei Pasdaran è la capacità di condurre la guerra asimmetrica e che l’organizzazione missilistica iraniana ricade sotto la loro l’autorità di Pasdaran. La loro capacità di azione all’estero intesa come proiezione al di fuori dell’area del Golfo, non è equiparabile a quella dell’ ISIS. Tornando alla domanda, gli americani hanno eliminato un terrorista e il mito di un terrorista rimane circoscritto al suo Paese e ai suoi accoliti (qualcuno anche in Italia, purtroppo). Quanto avvenuto in Iran dopo tale decisione dimostra sia la scarsa capacità di risposta strategica dei pasdaran sia quale livello di becero fanatismo questo evento ha causato (vedasi i più di ottanta morti calpestati ai funerali e il dramma dell’aereo abbattuto per errore).

In questo contesto di instabilità lei crede che in Italia, esista un reale pericolo di attentati legati alla figura di lupi solitari?

Sono due anni che rispondo sempre allo stesso modo a questa domanda, sempre posta a ragione e a seguito di eventi terroristici. Da Nord a Sud le nostre forze di sicurezza e i nostri servizi d’intelligence (probabilmente i migliori in Europa) compiono quotidianamente azioni di contrasto al terrorismo con perquisizioni, arresti, espulsioni. Tali attività, cui non è necessario dare sempre visibilità, servono soprattutto a limitare/contrastare l’attività delle cellule jihadiste eventualmente rivelatesi presenti sul territorio nazionale e che fanno in modo che l’organizzazione perda tasselli fondamentali del suo organigramma: ciò ne rallenta inevitabilmente l’azione. La conseguenza negativa delle operazioni antiterrorismo anche internazionali (eliminazione di Solemaini) è che questi eventi possano alimentare il rischio di azioni indipendenti di lupi solitari, sfuggiti agli arresti/espulsioni, che potrebbero sentirsi “persi e senza più punti di riferimento” e quindi senza nulla da perdere, venendo così spinti a compiere nuovi attentati. L’allerta quindi deve rimane alta ovunque ma, come detto, l’altissimo livello in termini di capacità e di addestramento dell’ intelligence e delle forze dell’ordine italiane è tale che la minaccia di questi “mavericks” possa essere arginata.

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