Fine dell’Europa a trazione franco-germanica?

di Alberto Comuzzi – Si chiude un anno, per il nostro Paese, segnato da una forte instabilità politica e da un’inconsistente ripresa economica. A generare ulteriore inquietudine la...

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di Alberto Comuzzi – Si chiude un anno, per il nostro Paese, segnato da una forte instabilità politica e da un’inconsistente ripresa economica. A generare ulteriore inquietudine la flessione di stima in gran parte dell’opinione pubblica verso la Magistratura e la stessa Chiesa.

Il 15 per cento degli italiani partecipa ancora alla Messa festiva; però gli insegnamenti che vengono dati dal pulpito sono, sì, uditi, ma sempre meno messi in pratica. Segno evidente di uno scollamento tra le due parti dell’unica Chiesa: docente (il clero) e discente (i fedeli).

La poliedrica etica laica s’è sostituita a quella ispirata ai valori evangelici con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Così l’eutanasia è diventata l’espressione dell’ultima (o penultima?) conquista della libertà umana.

Se siamo arrivati alla “dolce morte” come simbolo di progresso di una società, si rasenta il ridicolo pensare che esista ancora il concetto di tradimento nella vita politica. Macché traditori e voltagabbana, chi cambia casacca “si riposiziona strategicamente” solo per meglio servire gli interessi del Paese.

Il 2020 si apre viziato dalla stessa emergenza che l’Italia soffre dal Sessantotto: quella educativa appesantita dalla perdita del senso del bene comune. In altre parole: noi italiani, oltre ad avere ancora tanti giovani che non terminano la scuola dell’obbligo, non mostriamo di volere bene al nostro Paese e siamo troppo divisi.

Il risultato è che gli altri, quelli che si dicono europei finché fa comodo a loro, approfittano delle nostre lacerazioni interne e succhiano tutto ciò che possono dai nostri territori, facendoci spesso sentire pure inadeguati a stare dentro la Comunità europea.

Eh no, qui occorre darsi una mossa e cominciare ad invertire la tendenza. Occorre innanzi tutto rammentare che sono stati disattesi – principalmente non da noi – alcuni pilastri fondanti la stessa Unione come, per esempio, offrire sicurezza e giustizia; rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri; rispettare la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica.

Non prendiamoci in giro: dobbiamo esclusivamente all’ombrello protettivo degli Stati Uniti d’America i 75 anni di pace di cui, noi europei, abbiamo goduto dal 1945 in poi.

Tra tutti i Paesi membri dell’Ue che fanno parte della Nato (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord per la difesa degli Stati aderenti) l’Italia è quello che, dopo gli Usa, mette a disposizione il più elevato numero di uomini nei vari teatri operativi del mondo. La mancata realizzazione di una difesa comune rende l’Europa un nanetto imbelle.

Tanto varrebbe allora che – alla luce, per esempio, di una crisi come quella libica che potrebbe arrecare guai serissimi al nostro Paese – l’Italia si schierasse apertamente con l’Inghilterra e gli stessi Stati Uniti, soggetti capaci d’intervenire senza se e senza ma, come farebbero invece i prudenti membri dell’Ue, Germania e Francia, per citare i due più importanti.

Anzi, per dirla fino in fondo, è proprio ai “cugini” francesi che dobbiamo il grande regalo dell’instabilità della Libia, uno stato al collasso pronto a scaraventare sulle nostre coste milioni di profughi di guerra.

Dovremmo forse rispolverare qualche reminiscenza storica e tornare agli anni del passaggio del nostro Paese dalla Triplice Alleanza (Germania, Austria e Italia) a quello della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Russia, Francia).

Ad un secolo di distanza, chissà?, magari scopriremmo che, con un’Europa a trazione franco-germanica, quindi autolesionista e che già mostra i primi sintomi di disgregazione, potrebbe essere straordinariamente conveniente per noi ridare vita ad una Triplice Intesa con la Gran Bretagna (perennemente legata al cordone ombelicale di mamma America) e qualche altro Stato europeo alieno da tentazioni egemoniche.

De Gaulle diceva che amava tanto la Germania da volerne due. Dalla riunificazione i Tedeschi hanno mostrato al mondo di essere davvero un grande popolo. Il loro desiderio di primeggiare ed essere sempre i primi della classe finisce però per danneggiarli.

Così per i Francesi e la loro “grandeur”: Napoleone perse l’intero esercito e il potere per la smania di conquistare la Russia, Paese agli antipodi del suo. Ma tant’è: la “grandeur” è parte integrante del Dna francese, nonostante le guerre ripetutamente perse con la Germania, con l’Algeria e nell’Indocina, i Francesi sono ancora convinti di essere una superpotenza militare.

Nel 1915-18 se non fosse intervenuta l’Italia a mettere in campo oltre 3 milioni e mezzo di uomini gli anglo-francesi per quanto tempo avrebbero retto il fronte occidentale? Nel Giugno 1944 chi sbarcò in Normandia per liberare il suolo francese?

I tempi dei conflitti con morti e distruzioni, per fortuna, sono superati, almeno nello stanco Vecchio Continente. Non così le guerre che attraverso la forza dell’economia e della finanza alcuni Stati combattono per soddisfare il desiderio di supremazia, di volontà d’imporsi delle proprie élite.

La Germania, uscita con le ossa rotte dal secondo conflitto mondiale, sembra avere nuovamente dato fiducia al tarlo che l’ha sempre divorata: quello di primeggiare. Alleata della Francia si muove per dominare l’Europa assicurando, fin dove le riesce possibile, il benessere dei propri cittadini a scapito di quello di altri.

Per l’ennesima volta (corsi e ricorsi storici avrebbe detto il filosofo Giambattista Vico) però, la Germania si trova sul suo cammino la Gran Bretagna che con la Brexit segna la prima pietra miliare di un cammino che porterà fatalmente a sfaldarsi l’Europa a trazione germano-francese.

L’Italia sarà ancora “il ventre molle dell’Europa” o il primo attore di un nuovo Rinascimento europeo? Ai contemporanei l’ardua sentenza.

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