Da dove arriva l’egemonia culturale della sinistra

di Alberto Comuzzi – Marcello Veneziani, su “La Verità” di domenica 21 Giugno, in una delle sue sempre lucide analisi, osservava che «l’opposizione in Italia è una forza...

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di Alberto Comuzzi – Marcello Veneziani, su “La Verità” di domenica 21 Giugno, in una delle sue sempre lucide analisi, osservava che «l’opposizione in Italia è una forza politico-elettorale, un paio di facce e cognomi; la sinistra invece non ha leader ma è una forza socio-culturale, ideologico-politico-morale diffusa, ramificata, a ogni livello.

La destra è realtà nuda e cruda, la sinistra è rappresentazione, molteplice e polivalente. La destra è piazza e urna, la sinistra è salotto, terrazza, poteri cattedra, pulpito, sagrestia, editoria, libro, premio, film, tribunale, teatro, tendenza, regime, anarchia, eccetera».

Parole, le sue, tremendamente reali, che descrivono la situazione in cui versa il nostro Paese da almeno trent’anni. La sinistra non è al potere in modo casuale. Troppo spesso si dimentica che, fin dal 1945, l’Italia ha avuto il più importante e grande Partito comunista dell’Occidente.

Dal 1968 poi, con la contestazione studentesca, s’è ulteriormente rafforzato il processo di divulgazione della cultura marxista-leninista e di quella corrente di pensiero ad essa affine, l’anarchismo.

Quanti intellettuali progressisti sono usciti dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dalla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, dall’Università degli Studi di Milano e dall’Università di Roma? Mario Capanna, leader della contestazione sessantottina s’era formato all’Università Cattolica di Milano (da cui fu espulso poco prima dell’esame di laurea) e si laureerà in Filosofia alla Statale.

Paradossalmente la lotta allo stato borghese ha fatto breccia più tra i figli della borghesia che tra i figli degli artigiani, dei piccoli imprenditori e persino degli operai. La paziente e persistente opera d’indottrinamento alle tesi della sinistra ha comunque dato i suoi frutti.

Ci siamo scordati quando nei salotti bene, nei teatri, nei circoli culturali e nelle citate università gli intellettuali e i maestri di pensiero raccomandavano di leggere e di studiare, oltre a Marx, Engels, Lenin, Trotsky, autori come lo scrittore Maksim Gorkij (1868-1936), sì, proprio quello dello «sterminate il nemico senza pietà né misericordia» o come il filosofo francese, acerrimo nemico della borghesia, Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) che asseriva che «la proprietà privata è un furto».

Altre icone di cui i maestri del progressismo consigliavano la conoscenza erano poi il regista Bertolt Brecht (1898-1956) che alla morte di Stalin, addolorato, commentò che «gli oppressi di tutti e cinque i continenti hanno provato una stretta al cuore alla notizia della morte di Stalin. Egli era l’incarnazione delle loro e delle nostre speranze»; il commediografo irlandese George Bernard Shaw (1856-1950), che arrivò a dire che il Dittatore sovietico «ha mantenuto tutte le promesse; ha creato una società giusta e di conseguenza mi tolgo il cappello davanti a lui».

Uhuu… come era figo e come faceva tendenza citare i pensatori di sinistra.

Il mondo di chi si spendeva per produrre ricchezza e far progredire il Paese, di chi insegnava che prima dei diritti ci sono i doveri, di chi predicava che la vera solidarietà è bastare a sé stessi per non pesare sul prossimo, di chi si richiamava ai perenni valori scaturiti dalla cultura giudaico-cristiana, ha sottovalutato o non compreso appieno quanto abbiano scavato nelle coscienze gli “ammaestramenti” di certe guide intellettuali.

Che frutti hanno dato i versi di un poeta come Pablo Neruda (1904-1973), premio Nobel per la Letteratura nel 1971, il quale, in nome della sua poetica tolleranza, tuonò insistentemente contro quelli che riteneva suoi oppositori politici arrivando a definire il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, «malvagio genocida della Casa Bianca».

Così la componente tuttora maggioritaria del Paese non s’è resa conto di quanto deleteri siano stati gli insegnamenti di filosofi quali Roger Garaudy (1913-2012) che minimizzò «le voci sui gulag» e negò l’olocausto, o Herbert Marcuse (1898-1972) impegnato a dissacrare e ad abbattere «i regimi occidentali che si autodefinivano “democrazie”» o Jean-Paul Sartre (1905-1980), che nel giornale “Libération” scrisse appassionati articoli per elogiare il comunismo, negando persino l’esistenza dei campi di concentramento sovietici denunciati dallo stesso Kruscev.

Di più, Sartre, idolo dei sessantottini, sostenne che «la violenza è l’unica cosa che resta agli studenti che non sono ancora entrati nel sistema creato dai loro padri. Nei nostri Paesi Occidentali infiacchiti, l’unica forza di contestazione di Sinistra è infatti costituita dagli studenti. La perfezione sta invece nei Paesi marxisti e in particolare in Cina e a Cuba».

Che dire poi dell’agnostico linguista americano, Noam Chomsky, 92 anni, la maggior parte dei quali vissuti per criticare l’Occidente e i partiti non progressisti? «Il Partito Repubblicano statunitense», sono sue parole, «è una delle organizzazioni più pericolose nella storia dell’umanità», mentre il sanguinario Pol Pot (1925-1998), capo dei Khmer rossi cambogiani che sterminò 1.600.000 persone, «sarebbe stato vittima», è ancora il suo pensiero, «della propaganda reazionaria degli anticomunisti».

Questo succinto elenco d’intellettuali progressisti dà il senso della devastante opera da loro compiuta sostenendo un’ideologia che, come è sotto gli occhi di tutte le perone intellettualmente oneste, non solo non ha tolto dalla povertà milioni di persone, ma ne ha addirittura aggravato l’esistenza comprimendone spesso i diritti fino a togliere persino la libertà.

Qualcuno ha osservato argutamente che se non si è di sinistra a vent’anni, si è senza cuore, ma se lo si è a quaranta s’è senza cervello.

Foto di WikiImages da Pixabay

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