Nato: preoccupazione per l’espansionismo cinese

di Giuseppe Morabito L’atteggiamento di tipo espansionistico di Pechino e il conseguente stimolo a maggiore attenzione dell’amministrazione Trump stanno generando un cambiamento nel pensiero militare globale. La Nato,...

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di Giuseppe Morabito L’atteggiamento di tipo espansionistico di Pechino e il conseguente stimolo a maggiore attenzione dell’amministrazione Trump stanno generando un cambiamento nel pensiero militare globale.

La Nato, sicuramente l’alleanza militare di maggior successo nella storia, si sta lentamente ma costantemente avvicinando a considerare la Cina come un/il vero concorrente militare. In precedenza, l’Occidente ha evitato di coinvolgere la Nato  nel contrasto a una Cina in ascesa.

La spinta dell’amministrazione Trump fa in modo che la NATO ricalibri le sue priorità. Ci stiamo gradualmente muovendo verso una Nato  più globale con interessi che si estendono oltre la sua area di responsabilità (AoR) classica – l’Europa, che ora vede la crisi sulla sua capacità di difesa – nella regione indo-pacifica.

Le forze navali della Nato  sono state tra le prime a combattere i pirati attraverso l’operazione Ocean Shield lungo la costa dell’Africa orientale nel 2008. Con il passare degli anni non sono venute meno le missioni di addestramento militare e le attività accademiche che sono state un elemento comune del coinvolgimento della Nato in Medio Oriente.

L’Alleanza continua, nonostante le diverse vedute interne e la posizione non chiara della Turchia su questo specifico aspetto, unita a rispondere anche al terrorismo, alle minacce informatiche e alla disinformazione. Inoltre, gode di partnership speciali (di natura consultiva) con Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Giappone e Mongolia.

Tuttavia, l’ascesa militare ed economica della Cina comunista, con il suo progetto della Belt and Road Initiative (BRI) e il crescente appetito negli oceani Indiano e Pacifico evidenziati dagli attentati alle democrazie di Hong Kong, adesso, e Taiwan, minacciata in un futuro purtroppo prossimo, hanno portato Pechino, nell’ultimo decennio, in netta opposizione con Washington.

In particolare, aprendo una finestra su cosa sta avvenendo a Taiwan, gli ultimi giorni non sono incoraggianti. La Cina, come detto, sta provando a trasformare la democratica Taiwan in un’altra Hong Kong.

Questo è l’allarme del ministro degli Esteri di Taipei Joseph Wu, lanciato nell’incontro avuto con il segretario alla Salute americano Alex Azar, il più alto funzionario Usa a essersi mai recato nell’isola dal 1979, anno in cui Washington avviò le relazioni diplomatiche con la Cina a sfavore di Taipei. “La Cina continua a fare pressione su Taiwan perché accetti le sue condizioni politiche, condizioni che trasformerebbero Taiwan nella prossima Hong Kong”, ha detto il ministro Wu.

Di queste ore la notizia che proprio in concomitanza con la visita di Azar dei cacciabombardieri cinesi hanno varcato la linea meridiana dello Stretto di Taiwan per rimarcare il monito di Pechino contro la visita. Un’altra provocazione in puro “nuovo stile cinese”.

L’arroganza di Pechino potrebbe far si che la Nato debba giocare un ruolo più importante negli affari eurasiatici, il che significa prendere una posizione più dura nei confronti della Cina attraverso lo sviluppo di una nuova visione per il suo vecchio modello euro-atlantico-centrico. Questa evoluzione nel pensiero si riflette nella dichiarazione congiunta dei leader della Nato, rilasciata a chiusura del Vertice londinese dello scorso dicembre, che, senza tuttavia fare di Pechino un avversario, hanno affermato: “Abbiamo riconosciuto che la crescente influenza della Cina così come il suo coinvolgimento nelle politiche internazionali presentano sia opportunità, sia sfide sia dobbiamo affrontare insieme come Alleanza”.

Le ragioni di questo cambiamento trovano fondamento nel costatare che il budget ufficiale cinese per la difesa di 260 miliardi di dollari potrebbe mascherare un potere d’acquisto molto maggiore, raggiungendo potenzialmente fino al 70% del budget della difesa degli Stati Uniti.

La cooperazione militare della Cina insieme alla Russia continua a crescere e ora copre l’Asia centrale, il Mediterraneo, il Golfo Persico e persino il Mar Baltico. Inoltre, le crescenti capacità di forniture di armi nucleari da parte di Pechino può ora anche raggiungere l’Europa, il che, nel pensiero della Nato, richiede un ripensamento del suo approccio al gigante comunista asiatico. Più doloroso per l’alleanza è la consapevolezza che la Cina ha compiuto passi significativi nel mercato della difesa europeo.

Recentemente, il presidente serbo Aleksandar Vucic ha annunciato l’acquisto da parte del suo paese di sei droni da combattimento CH-92A (UCAV) di fabbricazione cinese. Ciò renderà l’esercito serbo il primo esercito europeo a utilizzare i droni da combattimento cinesi.

Anche economicamente, l’ascesa della Cina in Europa è visibile nella sua cooperazione legata alla BRI con il nostro paese, nell’acquisto di porti in Grecia, nelle ampie non chiare relazioni con una Turchia ormai democraticamente fuori controllo e nell’istituzione del meccanismo 17 + 1, che coinvolge gli Stati dell’Europa centrale e orientale. Si può sostenere, a questo punto, che è stata la Cina a entrare nell’AoR della NATO e non il contrario. La Cina potrebbe, infatti, ora essere il motore per la coesione all’interno dell’Alleanza, che negli ultimi anni ha visto conflitti interni tra i suoi stati membri. La NATO è stata creata per contrastare l’Unione Sovietica sulla terraferma europea, ma ora deve confrontare la nuova “realtà cinese”.

Dovrà cambiare la sua portata geografica e i metodi operativi. Sebbene questo cambiamento di pensiero stia avvenendo all’interno della Nato, alcuni stati membri dell’Alleanza rimangono attaccati alla loro visione e desiderano evitare di considerare la Cina come un vero e proprio nemico militare. Tale mancanza di unicità di vedute lascia aperta la possibilità di cooperazione, come attestano le dichiarazioni del Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg. In recenti interviste, Stoltenberg ha dichiarato: “La NATO non vede la Cina come il nuovo nemico”, “Non si tratta di spostare la Nato nel Mar Cinese Meridionale” e “Si tratta di tenere conto del fatto che la Cina si sta avvicinando a noi – nell’Artico, in Africa, investendo molto nelle nostre infrastrutture in Europa, nel cyberspazio “.

La Cina non rappresenta una minaccia militare diretta in questo momento ed è improbabile che cambi presto. Ma c’è un’inevitabile dimensione geopolitica in cui la Cina diventa più attiva nell’Artico, nel continente africano e nella regione indo-pacifica. Inoltre, Pechino sta negoziando un gigantesco trattato di cooperazione commerciale ed economica con Teheran che darà a Pechino la capacità di posizionarsi nel Mar Arabico, una delle principali arterie per le sue forniture di petrolio. Tutto ciò richiederà maggiore coordinamento e coesione all’interno della Nato.

Stoltenberg ha rilevato la necessità che l’Alleanza assuma un ruolo politico più importante negli affari mondiali e persino di aiutare le nazioni dell’Indo-Pacifico a competere con l’ascesa della Cina. Si tratterebbe di indossare una “mascherina politico-diplomatica” che sia un’evoluzione di quella usata contro il virus di Wuhan “prodotto” cinese di esportazione e tuttora portatore di morte in tutto il pianeta.

Nello specifico Stoltenberg ha dichiarato: “Mentre guardiamo al 2030, dobbiamo lavorare ancora più a stretto contatto con paesi che la pensano allo stesso modo come Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud per difendere le regole e le istituzioni globali che ci hanno tenuto al sicuro per decenni, per stabilire norme e gli standard nello spazio e nel cyberspazio, sulle nuove tecnologie e sul controllo globale degli armamenti”.

Che mascherina indossare per proteggersi? Stiamo per assistere a un cambiamento verso una NATO più globale in cui l’agenda di sicurezza dell’Alleanza non sia più centrata sull’Europa e sul Nord America. Questo richiederà, secondo gli esperti, almeno un decennio.

Un cambiamento nella visione della Nato  significherà anche che Mosca e le sue attività in Eurasia siano considerate a un livello di minaccia inferiore. La Nato  dovrà spostare la gravitazione verso est. Ciò non significa necessariamente dislocare installazioni militari permanenti o personale in tutta l’Asia, ma l’Alleanza dovrà prestare maggiore attenzione alle attività di qualsiasi genere con paternità cinese.

In questo modo si avvicinerà l’Asia e in particolare all’Indo-Pacifico. Serve una “mascherina tecnologica, deterrente, riutilizzabile per 10 anni e fortemente condivisa”. Cosi e’…se vi pare!

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