11 Settembre 2001, un memoriale per non scordare

di Paola Mormina – Il cielo sopra New York è sempre imprevedibile, e tra una coltre di nuvole dense e spesse ogni tanto un raggio di sole illumina la...

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di Paola Mormina – Il cielo sopra New York è sempre imprevedibile, e tra una coltre di nuvole dense e spesse ogni tanto un raggio di sole illumina la superficie specchiata di qualche grattacielo, accendendolo.

A New York si cammina sempre con il naso rivolto in su, e così anche quando si giunge nell’area dell’ex World Trade Center, viene subito spontaneo alzare gli occhi per cercare di colmare quel vuoto enorme che si spalanca alla vista. L’aria tagliente e affilata attraversa uno spazio immenso dove le Reflecting Pools, ricavate da quelle che una volta erano le fondamenta delle Twin Towers, ricalcano i confini di ciò che è stato lì strutturalmente, ma che spiritualmente invece è ancora molto presente.

I 2983 nomi delle vittime sono disposti su 76 placche di bronzo che formano i bordi delle vasche del Memoriale. La loro disposizione non è casuale ma basata sull’utilizzo di un algoritmo che definisce le relazioni sociali, professionali ricostruite attraverso testimonianze di parenti e amici antecedenti l’attacco terroristico.

I nomi delle persone perite nella Torre Nord (WTC1) sono uniti ai nomi dei passeggeri e all’equipaggio del volo American Airlines 11 che colpì la Torre Nord e sono disposte attorno al perimetro della North Pool, mentre coloro che perirono nella Torre Sud (WTC2) ed i passeggeri e l’equipaggio del volo United Airlines 175 che colpì la Torre Sud sono disposti al perimetro South Pool.

Un cartello invita i visitatori a toccare i nomi incisi sui pannelli disposti intorno alle piscine; scorrendo con i polpastrelli le lettere scolpite in rilievo più che mai si avverte la loro assenza. Questa è la particolarità di questo memoriale, qui sono i sensi ad essere per primi coinvolti e trascinati nel ricordo di una delle più brutali tragedie che l’umanità ricordi. Imprimere i nomi lungo tutto il perimetro delle vasche è imprimerli nel ricordo del mondo intero.

La discesa nel ventre delle Torri è sicuramente la parte più difficile. Gli immensi buchi in superficie sulla piazza hanno profonde radici, visitabili grazie ad un Museo che nel 2014 ha aperto al pubblico e che raccoglie tutto quello che delle Twin Towers è stato. L’anima delle torri è ridotta a lamiere contorte di acciaio, bruciate, sfregiate, sformate dal fuoco e dal calore che accompagnano il visitatore sin dall’ingresso, e il primo impatto forte si ha proprio osservando “The  Survivors stairs”, ovvero la Scalinata dei sopravvissuti.

La storia di questi 38 gradini in granito che collegavano la sopraelevata del World Trade Center Plaza con il marciapiede al piano terra sulla Vesey Street ha dell’incredibile, a partire dalle sue origini. Questa struttura in pietra, vero simbolo della salvezza avendo rappresentato l’unica via di fuga per migliaia di persone che sono riuscite così a scampare al crollo della torre 1, venne costruita tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta da maestranze friulane impiegate a New York. “Go down this set of stairs and then just run, run as fast as you can” (scendi questi scalini e dopo corri solamente, corri più veloce che puoi) è la frase a corredo delle immagini dei sopravvissuti lungo la scalinata, pronunciata dalla polizia newyorchese come ordine perentorio di evacuazione ma anche come incoraggiamento per tutti coloro che percorrendo quei gradini fiutavano l’aroma della speranza.

Il visitatore è lentamente accompagnato in un percorso evocativo ed emotivo: dall’acqua delle ampie fontane in superficie si precipita verso un baratro senza fine, lontano dalla città frenetica e convulsa che è New York. Lo spazio diventa così intimo e sacro e alla discesa dell’acqua nello spazio esterno, fa simbolicamente seguito la discesa all’interno, giù verso quelle che erano le fondamenta delle torri gemelle, come una dantesca evocazione dell’inferno. “No day shall erase you from the memory of time” (nessun giorno vi cancelli dalla memoria del tempo) frase tratta dal nono libro dell’Eneide di Virgilio, compare proprio sul muro laddove si trova il deposito (Remains Depository) dei resti ancora non identificati del terribile attentato, ed è realizzata dalla fusione dell’acciaio delle Twin Towers.

Adagiata così sul fondo, questa frase di Virgilio sancisce in modo definitivo l’analogia con la dantesca discesa agli inferi, ma mentre il viaggio di Dante era destinato ad un inferno senza uscita, qui nel ventre di Ground Zero a Virgilio è affidata la custodia della memoria e della speranza nel futuro. Il percorso si snoda attorno a camionette bruciate dei pompieri, motori degli ascensori delle torri fusi, pezzi di vetri e fogli raccolti dopo l’impatto. New York venne sommersa da fogli di carta e polvere bianca, e tra gli angoli bruciati di quegli appunti ancora oggi si può leggere chiaramente l’ordine del giorno di una riunione di lavoro. Scarpe di uomini e donne, giacche, catenine, portafogli, badge di lavoratori della AON corporation che con quell’attentato perse ben 175 dipendenti mentre la Cantor Fitzgerald L.P, una banca d’investimenti i cui uffici si trovavano ai piani 101-105 del WTC 1 proprio dove avvenne l’impatto del volo 11, ne perse 658, più di qualunque altra azienda.

Un cartello appeso illustra le ampolle contenenti la terra nei punti dove avvenne l’impatto con gli aerei: furono l’unica cosa consegnata ai parenti delle vittime sui voli. Ampi ed immensi pannelli ci restituiscono i volti di uomini e donne con i loro sorrisi, le loro speranze, la loro quotidianità. Dalla tragedia alla memoria, dunque, e dall’individuo alla comunità. La memoria collettiva, inoltre, non solo è preservata ma si allarga continuamente ai visitatori invitati ad una condivisione, chiunque può così partecipare al museo aggiungendo un messaggio ad una enorme mappa virtuale o videoregistrando il proprio vissuto rispetto ai fatti dell’11 settembre.

Risalire verso la superficie della piazza e riabituare gli occhi alla luce esterna è difficile, dopo un’immersione simile. Si riprende lentamente a respirare tra le grandi ali in acciaio dell’Oculus realizzato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava tra la torre 2 e la torre 3 del WTC, puntando lo sguardo a ciò che invece ha lasciato l’amore di una città che dalle sue macerie ha saputo ricostruire, partendo dalla speranza in un mondo migliore.

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