Brianza, recuperato un cucciolo di falco pecchiaiolo

Dopo tanti nidiacei e adulti di gheppio recuperati nei giorni scorsi vittime del maltempo, lunedì 6 luglio è arrivato al rifugio di Enpa di Monza un tenerissimo nidiaceo di...

2203 0
2203 0

Dopo tanti nidiacei e adulti di gheppio recuperati nei giorni scorsi vittime del maltempo, lunedì 6 luglio è arrivato al rifugio di Enpa di Monza un tenerissimo nidiaceo di falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), un rapace decisamente meno comune nei nostri cieli.

Il piccolo è stato trovato in un bosco tra Capriano e Veduggio (MB), alla base di un albero che ospitava un grande nido, dal signor Cristoforo C. Dopo averlo osservato per qualche tempo per accertarsi che non ci fossero i genitori nelle vicinanze e preoccupato per la presenza nella zona di molti predatori (gatti, volpi, gazze e cornacchie), lo ha portato a casa e ripulito dalle tante uova di mosca carnaria che lo ricoprivano, prima di consegnarlo al parco rifugio ENPA di Monza in Via San Damiano.

Qui il piccolo è arrivato ipotermico ed è stato subito scaldato e idratato, prima di essere trasferito al Centro Recupero Animali Selvatici (CRAS) di Vanzago (MI) che ringraziamo, come sempre, per il prezioso lavoro che svolge quotidianamente, soprattutto in questa stagione. Il piccolo rapace verrà alimentato fino al momento del suo rilascio in libertà.

Al signor Cristoforo, che non solo ha salvato la vita al piccolo ma ha anche fatto una donazione sia a ENPA sia al WWF, che gestisce il CRAS, va un grandissimo grazie da parte dell’Enpa di Monza e Brianza. 

Enpa ricorda, però, che quando ci si imbatte, come in questo caso, in un nidiaceo a terra ricoperto di solo piumino, o comunque abbattuto con occhi chiusi, a maggior ragione se con uova di mosca carnaria sul corpo, bisogna soccorrerlo senza indugio e consegnarlo tempestivamente al CRAS più vicino. Questo perché sarà sicuramente caduto dal nido e non si può trattare di un cosiddetto “finto orfano”, ovvero quei nidiacei (come ad esempio merli, cornacchie, o storni) che escono dal nido prima di saper volare – ma con piumaggio formato e quasi completamente sviluppato – e che finiscono lo svezzamento parentale a terra.

Con quella peluria chiara che lo ricopre completamente, gli occhi grandi e il becco giallo e nero, il nidiaceo di falco pecchiaiolo è un vero campione di tenerezza e si fa davvero fatica a immaginare quando, una volta adulto, diventerà un bellissimo e regale padrone dei cieli. 

Simile alla poiana, se ne distingue per il capo esile, il collo lungo e la coda più stretta e lunga. Il colore di fondo del piumaggio è molto vario: crema, marrone chiaro, rossiccio, marrone scuro e nero, con molte colorazioni intermedie. Si nutre prevalentemente di insetti, di larve di vespe e di api (pecchie è un termine desueto con cui si chiamavano le api) e di miele.

È un rapace migratore di grandi dimensioni, con un’apertura alare che arriva ai 130 centimetri, che sverna nell’Africa sub-sahariana e in Italia lo si osserva soprattutto nel periodo pre-riproduttivo (aprile-maggio) e post-riproduttivo (agosto-settembre) sullo stretto di Messina, dove transita prima di andare a nidificare soprattutto sulle Alpi e lungo l’Appennino.

È proprio sullo stretto di Messina che il falco pecchiaiolo corre i maggiori rischi. In dialetto calabrese questo falco è chiamato “adorno” e, prima di diventare specie protetta, veniva cacciato e imbalsamato per far bella mostra di sé nelle case. L’uccisione di adorno, secondo la tradizione di alcune zone della Calabria e anche della Sicilia, garantiva durante l’anno la virilità di chi l’aveva ucciso e quasi un potere magico contro l’infedeltà della moglie.

Nonostante la caccia all’adorno sia illegale da oltre 40 anni, purtroppo questa specie e altri rapaci continuano a essere presi di mira dai bracconieri soprattutto nella provincia di Reggio Calabria, tanto che la provincia è considerata uno dei sette “black-spot” (aree calde del bracconaggio italiano) individuati dal “Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici”.  

Lo Stretto di Messina viene chiamato dagli ornitologi “bottleneck”, cioè “collo di bottiglia”, passaggio obbligato per gli uccelli migratori. Tra aprile e maggio, infatti, circa 30 mila decine di migliaia di rapaci attraversano questo corridoio aereo diretti ai luoghi di nidificazione.

Da diversi anni proprio in quel periodo è attiva l’Operazione Adorno organizzata dal Cufaa (Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari), volta alla salvaguardia degli uccelli rapaci migratori, che vede impegnati militari del Reparto Operativo Soarda (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno agli Animali) e volontari di diverse associazioni animaliste.

Non è semplice controllare un’area vasta come questa, ma anche quest’anno si sono ottenuti confortanti risultati nell’attività di repressione al bracconaggio. Diversi i reati contestati, dall’uccisione di specie protette, in particolare rapaci, all’utilizzo di richiami elettroacustici e alla cattura illegale, tramite reti da uccellagione, di passeriformi per fini commerciali.

Condividi

Join the Conversation