Terrorismo e comunicazione, quali legami?

di Donatella Salambat Quali sono i legami tra terrorismo e comunicazione? Per capire meglio la questione abbiamo posto alcune domande al generale Morabito membro del Direttorato della Nato...

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di Donatella Salambat Quali sono i legami tra terrorismo e comunicazione? Per capire meglio la questione abbiamo posto alcune domande al generale Morabito membro del Direttorato della Nato Defence College Foundation.

È vero che i terroristi si possono distinguere in tre diverse categorie: il terrorista solido, l’ispirato e l’ibrido? Ci può brevemente illustrare le differenze di queste categorie?

“La distinzione cui si fa riferimento è stata ultimamente proposta da Guido Olimpo del Corriere della Sera. Egli ritiene che uno dei problemi incontrati dagli analisti sia “la mancanza di confini precisi della materia, la quale è mutabile e in continua evoluzione”. “La diminuzione di attacchi di matrice terroristica islamica in Europa non coincide con una diminuzione a livello globale di attività di questo genere: i numeri di attentatori suicidi affiliati a gruppi jihadisti continuano in ventiquattro Paesi, coinvolgendo anche donne – nonostante anche questi numeri siano in leggera diminuzione”. Olimpo propone tre tipologie di terroristi in Europa.

Il terrorista cosiddetto “solido”, che costituisce solitamente il profilo tipicamente individuato in Gran Bretagna: si tratta di persone con trascorsi di piccola criminalità o con esperienze di periodi trascorsi in carcere, che presentano una preparazione ideologica più profonda, forse perché tendenzialmente più legati ad Al Qaeda – che, differentemente da ISIS, marcava molto quest’aspetto.

Il terrorista “ispirato”: si tratta di elementi non in diretto contatto con IS, ma – per l’appunto – ‘ispirati’ dalle gesta del sedicente Califfato islamico.

Il terrorista “ibrido”, cioè il profilo più spesso individuato in Francia e Belgio (e, in misura minore, in Italia): si tratta di elementi che mescolano ragioni personali e ideologiche; si manifestano quando attaccano, raramente sono già conosciuti alle forze di polizia per radicalismo. Di questa tipologia fa parte il sottogruppo dei “caotici” (ai quali il giornalista si riferisce anche con il termine di “zombie”): elementi che dichiarano di “sentire le voci”, persone dunque instabili che d’impulso conducono episodi – quale per es. l’episodio avvenuto nella Prefettura di Parigi. Questa instabilità mentale dell’attentatore fa sì che IS possa anche scegliere di non rivendicare l’attentato. Già due anni fa nel libro “Il Mondo dopo lo stato islamico” proponevo, atteso che già in quel periodo la vittoria contro l’esercito di al-Baghdadi e, in generale, contro il terrorismo era ancora lontana e che era stata vinta solo una battaglia non la guerra, una diversa categorizzazione degli attacchi e non dei terroristi. Nel 2018 era certa la minore capacità dello Stato Islamico di operare attacchi a livello strategico.

Questo tipo di operazioni, cui appartenevano ad esempio gli attacchi all’aeroporto di Bruxelles, a Charlie Hebdo, al Bataclan, sembrava già difficile potessero ripetersi perché hanno bisogno di un’organizzazione capillare, capacità tecniche, tempo, risorse che l’ISIS non possedeva più. Tali capacità organizzative sono oramai annullate nelle loro potenzialità dalle sconfitte patite in Siria e in Iraq. Questo non eliminava la possibilità di vedere altri attacchi, parimenti sanguinosi, organizzati da cellule già esistenti in Europa ed escludevo, a quel tempo, solamente la profondità strategica.

Le cellule europee e, in generale, quelle occidentali, hanno poi cercato puntare ad azioni di minore scala ma dal forte impatto emotivo come avvenuto a Nizza o Berlino tramite l’uso TIR, furgoni o pick-up in aree densamente popolate. Attacchi di simili sono inseriti tra quelli di livello operativo, facilmente riconducibili a una forma moderna di guerriglia. I terroristi dislocati sul suolo europeo e occidentale conservano comunque una capacità e un know how che sarebbe assolutamente deleterio sottovalutare. Quanto sfugge e continua a sfuggire al controllo sono i possibili attacchi da parte dei lone wolfs o lupi solitari.Tali individui rappresentano il terzo livello di attacco, quello conosciuto come Maverick Attack.

Concordavo già con Olimpo quando afferma che azioni del genere sono portate a termini da singoli individui, persone, all’apparenza normali, che intraprendono un percorso di radicalizzazione attivata da un evento sconvolgente nella loro vita. Abbiamo visto numerosi attacchi di questo genere negli ultimi anni, ad esempio quelli, purtroppo ripetuti,a Londra. Non esiste una strategia per assicurare la popolazione che tutto questo non accada più, l’unica difesa per ora è rappresentata dalla collaborazione tra le forze di polizia e l’apparato d’intelligence con un controllo attento dei luoghi sensibili. Il successo, al momento in cui scrivo, dell’operazione “Strade Sicure”dell’Esercito italiano ne è una prova”.

Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay

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