Senza meritocrazia l’Italia non riparte

di Alberto Comuzzi. Venerdì 31 Gennaio, giorno in cui la Chiesa ricorda la figura di san Giovanni Bosco (1815-1888), dichiarato da Giovanni Paolo II «padre e maestro della...

819 0
819 0

di Alberto Comuzzi. Venerdì 31 Gennaio, giorno in cui la Chiesa ricorda la figura di san Giovanni Bosco (1815-1888), dichiarato da Giovanni Paolo II «padre e maestro della gioventù», ci consente di dedicare questo editoriale all’urgentissimo tema dell’educazione.

È costante nella millenaria storia del cattolicesimo – ancor più accentuatasi subito dopo il Concilio di Trento (1545-1563) – la preoccupazione di insegnare ai bambini, oltre alla dottrina cristiana, a leggere, scrivere e far di conto. Figure come Castellino da Castello (1479/80 – 1566), Giuseppe Calasanzio (1557 – 1648), (Lodovico Pavoni (1784-1849), Leonardo Murialdo (1828-1900) e lo stesso don Bosco, per citarne solo alcune, testimoniano l’assiduo impegno della Chiesa di Roma nel promuovere lo sviluppo integrale della persona sotto i profili spirituale e culturale fino, in taluni casi, quello materiale, assicurandogli un lavoro.

L’impegno educativo, a cominciare dalla coltivazione del senso civico, è costante nella pedagogia cristiana, che è protesa ad accogliere innanzi tutto le istanze dei fanciulli. Le parole di Gesù «lasciate che i pargoli vengano a me» sono il pilastro su cui si fonda l’intero apparato educativo della Chiesa attenta all’uomo fin dai suoi primi passi.

È sotto gli occhi di tutti che oggi il tema della mancanza di maestri veri è alla base di tanti guai che stanno opprimendo gran parte del genere umano e dai quali anche la nostra comunità nazionale non è esente.

Parliamo di noi per non disperderci nel “mare magnum” del mondo. Grazie alla rivoluzione copernicana determinata da Internet, oggi chiunque può raggiungere milioni di persone e, con la logica del “secondo me”, diffondere colossali bugie senza subire eventuali sanzioni.

Il relativismo, ben spiegato da Papa Ratzinger, è un dato di fatto che tanti media aiutano ad ingigantire. Ormai chiunque si sente abilitato alla radio, in televisione, con i social, a prendere posizione su qualsiasi argomento, a dire la sua su questioni estremamente delicate come, ad esempio, eutanasia, fecondazione eterologa, teoria gender, celibato sacerdotale, assetto istituzionale della Repubblica e via discorrendo. Siamo davvero alla babele delle lingue.

Non illudiamoci, se non torniamo a ragionare su che cosa dobbiamo fare per uscire da questo buio tunnel in cui ci siamo infilati, la luce che desideriamo rivedere rimarrà ancora distante.

Inutile prendersela con la classe politica che – non dimentichiamo – noi stessi abbiamo scelto. Senatori e deputati non sono marziani; sono persone elette dagli italiani.

Così la burocrazia inefficiente di cui ci lamentiamo è carne della nostra carne. L’impiegato pubblico è assenteista o produce poco perché è parte di un sistema che consente tali inadempienze, magari perché ha labili o inesistenti controlli.

Il nocciolo della questione sta a monte, come si dice in questi casi; sta nella disciplina personale, nei valori di cui ogni persona è portatrice. Padri assenti, madri distratte, genitori indifferenti o lontani dai figli sono la causa prima di ineducazione o maleducazione, ma soprattutto d’incapacità a trasmettere valori autentici.

Aggiungiamo poi insegnanti spesso demotivati o non all’altezza del ruolo, trainer sportivi prigionieri di una cultura essenzialmente agonistica, preti con scarsa ascendenza su adolescenti pronti a dileguarsi appena ricevuto il sacramento della Cresima e ci rendiamo conto di quanto stanca risulti la società in cui viviamo.

Abbatterci o allargare le braccia in segno di sconfitta non va bene. Fatto un bell’esame di coscienza su ciò che non va, dobbiamo reagire, rimboccarci le maniche e riprendere il cammino dove l’avevamo interrotto.

Stanno scomparendo, anche per ragioni anagrafiche, gli attori di quel Sessantotto che ha provocato tanti disastri ha provocato. Non ci sono più quegli arroganti e stolti studenti che pretendevano il “18 politico” per superare gli esami.

Si può e si deve tornare alla meritocrazia: va avanti chi è più preparato. Il nepotismo deve essere abiurato dalla coscienza collettiva. La selezione, in ogni campo, deve tornare ad essere considerata un valore.

La Chiesa rilanci sé stessa tornando a presentare Gesù e le sue opere. Un grande plauso alla Diocesi di Milano che per la sua passione educativa ha avviato un percorso di rilancio dell’oratorio dal titolo “Oratorio 2020 – Quali oratori per fare oratorio”, avviato negli ultimi due anni e che questa sera, in Duomo, raduna seimila giovani attorno all’ arcivescovo, Mario Delpini e a duecento suoi sacerdoti.

Foto di Hans Braxmeier da Pixabay

Condividi

Join the Conversation