Libia e Nagorno-Karabakh: due guerre, lo stesso schema

di Giuseppe Morabito – Durante la Primavera del 2019, la guerra libica di successione post-Gheddafi era entrata in una nuova fase. Il LNA (Esercito di Liberazione Nazionale) comandato dal...

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di Giuseppe Morabito – Durante la Primavera del 2019, la guerra libica di successione post-Gheddafi era entrata in una nuova fase. Il LNA (Esercito di Liberazione Nazionale) comandato dal generale Khalifa Haftar aveva lanciato un’offensiva a sorpresa per conquistare Tripoli e conseguentemente la residenza del GNA (Governo di Accordo Nazionale) libico riconosciuto a livello internazionale, il quartier generale più importante del paese, con istituzioni economiche come la Banca Centrale della Libia, l’Autorità Libica per gli Investimenti e la National Oil Corporation.

L’offensiva a sorpresa del LNA era stata accolta con indignazione in molti stati mentre godeva di sostegno in diversi altri sia europei sia extra-europei. Sebbene si siano reciprocamente e sporadicamente combattute per anni, mentre i gruppi allineati al LNA espandevano gradualmente i loro territori dal 2014 al 2019, l’improvvisa minaccia per Tripoli ha favorito lo sviluppo di un “meccanismo di coordinamento” tra le forze armate libiche leali al governo e le milizie pro-GNA.

Questo coordinamento tra le milizie, ha funzionato in modo più efficace che qualsiasi cosa prima ed è tuttora in gran parte guidato dalle potenti forze militari e da figure politiche qualificate di Misurata, una città portuale a 210 km a est di Tripoli, che dalla cacciata di Moammar Gheddafi ha rivaleggiato con Tripoli come centro finanziario, diplomatico e militare della Libia occidentale.

IL conflitto tra GNA e LNA che si era trascinato avanti con alterne fortune da Aprile 2019 a Giugno 2020 si è cominciato a trasformare, anche se non proprio bruscamente, dopo che ampie “capacità militari” (mezzi moderni e mercenari) turche sono state introdotte nel teatro da inizio 2020. Guardando indietro, con il senno di poi, per analizzare cosa è successo in Libia e confrontarlo con guerre civili simili, è chiaro che i fattori determinanti che hanno influenzato il corso della guerra per Tripoli, come era avvenuto in precedenza nel nord della Siria, sono stati nuovi fenomeni militari, tecnologici e, parzialmente, diplomatici.

In particolare va evidenziato che a determinare il risultato finale hanno influito in maniera notevole il ruolo unico dei droni, delle tecnologie di difesa aerea, dei mercenari sia locali sia extraterritoriali (cioè membri di eserciti stranieri).

La maggior parte di queste armi e personale è stata rifornita in Libia in violazione dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite, essenzialmente senza sanzioni per i trasgressori che, se si escludono alcuni paesi occidentali, hanno fatto in modo che si continuasse a introdurre sempre più armamenti o personale combattente nel teatro di guerra e, in particolar modo, l’hanno fatto senza nessuna remora alcune potenze regionali.

Va rimarcata in Libia l’importanza militare dei mercenari stranieri (siriani, sudanesi, ciadiani e russi) che hanno combattuto negli scontri di terra, anche se le vittorie più rilevanti, in ​​cui il territorio è stato perso o guadagnato, sono state combattute in gran parte dai libici. Ad ogni buon conto, la guerra combattuta da “stranieri” è stata sostanzialmente vinta dai turchi che hanno avuto agio di schierare sul terreno i sanguinari combattenti mercenari che avevano utilizzato per sottomettere ampie aree della regione curda.

Per i primi nove mesi del conflitto, la coalizione dell’Esercito nazionale libico (LNA) aveva avuto il sopravvento a causa del suo predominio aereo, dovuto principalmente ai trasferimenti tecnologici degli Emirati Arabi e, in minor misura da altri paesi tra cui la Russia che aveva, tra l’altro, “sponsorizzato” in Generale Haftar anche con l’invio di mercenari al soldo di Mosca. Si tratta di caccia d’epoca ex sovietici ed ex Gheddafi dell’aeronautica militare in aggiunta a elicotteri d’attacco e personale qualificato.

Poi, da Gennaio 2020, la brusca introduzione da parte della Turchia, paese membro della NATO, delle nuove tecnologie e armamenti, in sistema con abilità e capacità di pianificazione strategica, ha concretamente ribaltato la bilancia, dando alla coalizione del Governo di Accordo Nazionale (GNA) la capacità di dominare improvvisamente i cieli della Tripolitania e sfruttare a pieno le capacità dei citati 3800 “tagliagole” siriani che Ankara avrebbe pagato e cui ha offerto la cittadinanza turca. In particolare, nonostante le numerose accuse provenienti da tutto il mondo, la Turchia afferma, ancora oggi, che non vi sono prove che colleghino i citati mercenari né allo Stato Islamico né ad al-Qaeda e tantomeno ad Ankara.

Secondo alcuni analisti, i combattenti sarebbero stati molto probabilmente motivati da generose somme di denaro e dalla possibile immunità concessa dal passaporto promesso ma non da ragioni ideologiche o politiche. Rimane il fatto incontestabile che la logistica per arrivare in Libia a combattere sia stata comunque fornita da Ankara.

Lo “schema Libia” della presidenza turca si stava ripetendo nel Caucaso e precisamente negli ultimi due mesi nella guerra per il controllo dell’enclave del Nagorno Karabakh. Questo, dopo la “sconfitta” in Libia, e il sostanziale “pareggio” nella disputa in Siria non poteva andare bene alla Russia.

Il Presidente russo Vladimir Putin ha quindi avuto la caparbietà di mediare un accordo di pace per il Nagorno-Karabakh che blocca le conquiste territoriali ottenute dall’Azerbaigian sostenuto militarmente dalla Turchia secondo lo schema citato (tecnologia e mercenari senza scrupoli a sostegno del ricco stato amico di religione mussulmana). In tal modo la Russia ha contrastato una più forte presenza turca, a scapito dell’ortodossa Armenia, in una regione caucasica che Mosca considera il suo cortile.

Sei settimane di pesanti combattimenti tra l’Azerbaigian e le forze etniche armene per l’enclave hanno messo alla prova l’influenza di Mosca nel Caucaso meridionale, la fascia dell’ex Unione Sovietica che considera vitale per difendere il proprio fianco meridionale. Tre precedenti cessate il fuoco, di cui almeno uno mediato da Mosca, erano andati falliti mentre il presidente turco Erdogan appoggiando l’offensiva azera aveva sempre cercato, come abitudine ormai purtroppo consolidata, di fare a meno degli sforzi di mediazione diplomatica e ottenere consenso interno.

Alla fine, però, Putin ha realizzato un “sogno russo”, portato avanti da oltre due decenni, di rischierare le forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh su base rinnovabile di cinque anni e, per ora, ha mantenuto le truppe turche, che aiuteranno a gestire un centro di monitoraggio del cessate il fuoco, fuori dall’enclave. Ciò espande l’impronta militare della Russia, ponendo un’apparente fine alla competizione geopolitica tra Mosca e Ankara dopo di quelle citate in Siria e Libia.

Con l’accordo più ampio, Putin ha tuttavia evitato una piena acquisizione del Nagorno-Karabakh da parte degli azeri, che le forze etniche di difesa armene avevano fatto trapelare, sarebbe ormai stata certa dopo pochi giorni, e ha riaffermato l’influenza russa nella regione mediando un accordo che escludeva la Turchia come firmatario. “L’accordo di oggi  in molti modi affronta i principali interessi russi nel conflitto, ed è forse il miglior risultato (almeno a breve termine) che Mosca può ottenere”, ha detto Alexander Gabuev, un membro anziano del think tank del Carnegie Moscow Center.

“La Russia ha messo i suoi 2.000 operatori di pace nel Nagorno-Karabakh – qualcosa che Mosca voleva nel 1994, ma non è riuscita a fare. Non ci saranno forze di pace armate turche, il che è molto importante per Mosca”.

Ankara ha detto che l’accordo di cessate il fuoco è stato un “sacro successo” per il suo alleato Azerbaigian mentre Erdogan ha descritto il sostegno di Ankara all’Azerbaigian, in verità dovuto soprattutto alla ricchezza di giacimenti di gas del paese, come parte della ricerca della Turchia per il suo “meritato posto nell’ordine mondiale”. Ozgur Unluhisarcikli, direttore del gruppo di ricerca tedesco Marshall Fund ad Ankara, ha detto che la presenza russa nell’area è negativa per Turchia e Azerbaigian, ma la posizione azera è oggi molto più forte di sei settimane fa.

“L’Azerbaigian ha ottenuto un grande successo sul campo e questo è consolidato da questo cessate il fuoco”. Ankara non aveva bisogno del permesso di inviare le sue forze per far osservare il cessate il fuoco, ha continuato Unluhisarcikli, sebbene non fosse chiaro se Mosca l’avrebbe accettato. Erdogan probabilmente non apparirebbe troppo turbato dal modo in cui sono andate le cose perché la Turchia mantiene comunque un ruolo, anche se è chiaramente secondario rispetto a quello russo. Lo “schema” di sostegno militare all’Azerbaigian ha fatto una grande differenza a un costo relativamente basso per la Turchia e ha garantito ad Ankara una parziale vittoria e una seppur piccola, maggior influenza nei confronti della Russia.

Detto questo, le forze di pace della Russia, armate e sostenute da veicoli blindati, congelano il conflitto, rendendo impossibile per le forze mercenarie sostenute dall’Azerbaigian e dalla Turchia di avanzare ulteriormente. C’è da considerare poi un altro potenziale dividendo per Mosca, che ha un patto di difesa con l’Armenia e vi mantiene una base militare. In particolare , infatti, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan è salito al potere sulla scia delle proteste di piazza del 2018 che hanno costretto l’allora governo a dimettersi. Da allora Mosca ha avuto un rapporto difficile con Pashinyan, considerandolo sia meno filo-russo dei suoi predecessori su questioni politiche chiave sia come qualcuno che ha spodestato una generazione di lealisti del Cremlino.

L’accordo sul Karabakh, visto da molti armeni come un fallimento, mette Pashinyan sotto pressione, con i partiti politici dell’opposizione che gli chiedono di dimettersi. Molti manifestanti hanno preso d’assalto gli edifici governativi durante gli scorsi giorni e Pashinyan è stato costretto a negare le accuse di essere fuggito dal paese. È improbabile che Mosca pianga la sua caduta e soprattutto sarebbe felice di vedere un nuovo presidente in Armenia.

Rimane oggi da capire se, quando e dove, nel martoriato equilibrio del Mediterraneo, sarà nuovamente applicato dai turchi lo “schema Libia” e se il Presidente americano eletto, unico ad avere la capacità impositiva, farà in modo che non sia più messo in atto.

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