Cristiani perseguitati, quanta indifferenza!

di Giulio Boscagli – Quando l’anno volge al suo termine si è soliti fare un bilancio degli avvenimenti che si sono succeduti. Quello che abbiamo alle spalle è...

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di Giulio Boscagli – Quando l’anno volge al suo termine si è soliti fare un bilancio degli avvenimenti che si sono succeduti. Quello che abbiamo alle spalle è stato ancora caratterizzato dalla presenza della pandemia e dalle polemiche che si porta appresso relativamente alle modalità con cui le autorità di governo la stanno affrontando; segnato da un dibattito – alquanto timido per la verità – sui rischi ai quali la democrazia va incontro quando l’azione sanitaria richiede provvedimenti straordinari; caratterizzato da una serie straordinaria di successi sportivi che hanno fatto passare per un momento nelle pagine interne i quotidiani bollettini della pandemia.

Tuttavia preferisco mettere l’attenzione su fatti e numeri che troppo spesso sono sottovalutati. Li riprendo da un articolo pubblicato su “Il Messaggero” qualche giorno fa che parla di «4371 cristiani uccisi nel mondo in un anno» e aggiunge cifre altrettanto preoccupanti che riguardano cristiani rapiti o imprigionati.

Questi dati sono ben noti a chi segue l’azione benemerita di realtà come ACS-Aiuto alla Chiesa che soffre, la fondazione di diritto pontificio che ha come scopo di operare per «un mondo in cui il Cristianesimo possa prosperare ovunque, in cui i nostri fratelli possano vivere liberamente la fede nella propria patria, senza essere costretti a migrare» e che non manca di documentare la situazione in cui versano i cristiani in diverse parti del mondo, ma soprattutto di operare per alleviare e, se possibile, evitare del tutto le loro sofferenze.

Così possiamo apprendere che ci sono una cinquantina di Paesi in cui le persecuzioni dei cristiani (perché di persecuzione propriamente si tratta) sono più pesanti. Un tempo le motivazioni erano di stampo ideologico, soprattutto nei Paesi a guida comunista di cui resta come principale continuatore la Corea del Nord, oggi si tratta per lo più di persecuzioni a carattere religioso.

Tutti ricordiamo quanto fatto dal cosiddetto stato islamico negli anni della sua ascesa e l’islamismo violento è presente ancora in altri Paesi asiatici; ma non può essere dimenticato che anche l’induismo in India e il buddismo in Myanmar perseguitano regolarmente religioni diverse con il pretesto di essere culti stranieri (paradossale è il recente attacco del governo indiano alle suore di Madre Teresa che si occupano dei più emarginati della società indiana).

Molti sono poi i Paesi africani in cui essere cristiani, andare a messa la domenica, comporta un quotidiano rischio della vita. A fonte dell’imponenza di questi numeri non può non stupire la sproporzione con cui guardano a questi fatti i mezzi di informazione e l’opinione pubblica dei Paesi in cui la libertà di religione non è (ancora?) in questione.

Non si vedono inginocchiamenti sui campi di calcio, né pitture sui volti degli atleti in gara, né raccolte di firme o appelli di intellettuali, né amministrazioni locali che promettano la cittadinanza a cristiani perseguitati per la propria fede. Se si eccettua il caso di Asia Bibi, la cui enormità è riuscita a bucare il manto dell’indifferenza, questi cristiani restano nel cuore e nelle preoccupazioni solamente della Chiesa e delle associazioni e movimenti che non rinunciano allo spirito di critica e di carità.

Ci si potrebbe chiedere che legame abbiano queste notizie drammatiche con il clima natalizio che sembra fatto apposta per evocare solo buoni sentimenti, affetti familiari, desideri di pace e riconciliazione.

Il Natale cristiano, il giorno in cui si celebra l’incarnazione del Signore, un Dio che sceglie di farsi uomo , “scandalo per gli Ebrei e follia per i gentili” come dice San Paolo, porta una speranza dentro il dramma del tempo. Ma la saggezza della Chiesa ci fa celebrare il giorno successivo il primo martirio per la fede cristiana, quello di Santo Stefano, e poi i Santi innocenti e ancora il martirio dell’arcivescovo Tommaso Becket per ricordarci che la nascita di Gesù a Betlemme è allo stesso tempo segno di speranza ed evento di contraddizione.

Attorno alla culla di Betlemme si avvicinano i pastori e i Magi ma vi aleggia attorno anche la volontà omicida di Erode. E così, fin dall’inizio, quel Bambino, quell’uomo che è Dio, quel Risorto, scandisce il ritmo della civiltà, per accoglierlo o per negarlo nella carne di chi ha scelto di seguirlo.

Ma noi, uomini dell’Europa – quelli che un tempo il card. Scola definì «uomini impagliati che non hanno più l’energia e l’idea della gerarchia di ciò che conta e dunque della capacità del giudizio prudenziale» – come stiamo davanti a questi fatti che ci interrogano?

Torna alla mente una profetica lettera che, molti anni fa, uscì dalla Cecoslovacchia ancora sotto il regime comunista, ad opera di un teologo perseguitato dal potere, Josef Zverina, nella quale richiamava con forza noi, cristiani con la libertà di professare.

“Fratelli, voi avete la presunzione di portare utilità al Regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue parole, i suoi slogan, il suo modo di pensare. Ma riflettete, vi prego, cosa significa accettare questa parola. Forse significa che vi siete lentamente perduti in essa? Purtroppo sembra che facciate proprio così. È ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo vostro strano mondo”.

La lettera è del 1970 e mentre oltre la cortina di ferro molti cristiani soffrivano a causa della propria fede e del non volerla abbandonare, in occidente tanta parte della cristianità si perdeva dietro schemi, ideologie e nuove parole da santificare. Così il richiamo di Zverina mantiene la sua attualità anche oggi.

“Per dirla in breve, è vacuo ogni schema, ogni modello esteriore. Dobbiamo volere di più, l’apostolo ci impone: “cambiare il proprio modo di pensare in una forma nuova!”

Non si cambia secondo un qualsiasi modello che è comunque sempre fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza. Non cambia il vocabolario ma il significato.

Quindi non contestazione, desacralizzazione, secolarizzazione, perché questo è sempre poco di fronte alla forma nuova cristiana”.

Davanti all’anno nuovo l’augurio che ci possiamo fare, e fare al nostro popolo, è che questo modo nuovo di pensare la realtà possa crescere e svilupparsi.

Articolo di Giulio Boscagli, per gentile concessione di http://comolive.it/

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