Barcameniamoci nel mondo e decresciamo felicemente

di Alberto Comuzzi  Sono questi i giorni in cui gli italiani, sempre meno, che possono permetterselo, si godono qualche giorno di vacanza. Sotto l’ombrellone o in cima ai...

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di Alberto Comuzzi  Sono questi i giorni in cui gli italiani, sempre meno, che possono permetterselo, si godono qualche giorno di vacanza. Sotto l’ombrellone o in cima ai monti, dove l’aria è certamente molto più pura di quella che si respira durante l’anno in ufficio o in fabbrica (quelle poche che sono rimaste aperte), si cerca di ritemprarsi, ma soprattutto di svagarsi, di non pensare a ciò che potrebbe accadere al rientro, nei primi giorni di Settembre. Mai, come in questi tempi, per milioni di italiani il futuro è stato così incerto, purtroppo.

Il nostro Presidente del Consiglio, però, del suo futuro si preoccupa; eccome se si preoccupa. Poiché è un uomo di mondo sa benissimo che l’Ufficio che ricopre dovrà prima o poi lasciarlo; e sa che dopo di lui si apriranno le cateratte del cielo. Persona sicuramente intelligente – quindi molto pericolosa – il presidente Giuseppe Conte s’è trovato a governare l’Italia grazie alle conoscenze e alle amicizie che ha coltivato nelle varie strutture in cui si articola il potere, quello vero, che è sempre appartato e discreto. In ambito strettamente politico, con pazienza e meticolosità, s’è scelto quei compagni di viaggio che meglio lo avrebbero aiutato a lievitare.

Con modi garbati e lessico appropriato (gli studi giuridici sono un’eccellente palestra), dopo avere conquistato la fiducia della nomenclatura pentastellata, ha incantato, nelle frequenti comparsate televisive, la parte più ingenua del popolo italiano promettendo di essere “il suo avvocato”. Per oltre un anno il presidente Conte ha simulato vicinanza ad uno dei due partiti che lo avevano chiamato, come super partes, a presiedere il governo, salvo rovesciare, con inaspettato livore, tutta la sua acredine contro il medesimo, appena avuta la garanzia che avrebbe potuto proseguire il suo mandato a capo di un altro esecutivo.

Da quando è a Palazzo Chigi il Primo ministro ha badato soprattutto a consolidare la propria posizione, con attenta vigilanza, guarda caso, sui dossier più importanti dei servizi segreti e controllando facilmente la compagine di ministri di cui è a capo, composta da pochissime persone di grande esperienza. Aldilà delle flebili voci dell’opposizione (per di più messe in quarantena dall’estenuante crisi provocata dal virus di Wuhan), l’unica che si sia alzata, chiara e senza tentennamenti, è quella del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha denunciato la grave deriva economica e sociale a cui sta andando incontro l’Italia per l’inettitudine governativa. Invece di elargire bonus a destra e a manca avrebbe meglio aiutato l’economia sostenendo chi realmente produce e manda avanti una nazione: imprese e famiglie.

Va però dato atto a Giuseppe Conte di non essere il primo politico italiano ad amare il potere esclusivamente per il potere e a fare spericolate inversioni ad “U” pur di mantenerlo. Infatti, nella sua azione di eccellente trasformista ha un illustre predecessore, anzi il fautore del trasformismo stesso: quell’Agostino Depretis (1813-1887) che nel 1876 formò il primo governo della storia d’Italia composto esclusivamente da politici di sinistra.

Quel trasformismo, non dimentichiamo, che fu un ben articolato progetto in base al quale, per garantire la prosecuzione dei diversi governi di cui fu a capo Depretis, ogni deputato si sarebbe dovuto sentire pienamente legittimato a sostenere l’Esecutivo aldilà del proprio schieramento d’appartenenza.

La tesi di Depretis fu: poiché io sono un progressista che intende superare l’asfittica e logora logica politica oggi imperante, divisa tra destra e sinistra, chi mi sostiene non può che essere un progressista che guarda con occhi nuovi al bene dell’Italia. Il risultato – appurato dalla storia – fu che il trasformismo ridusse il potere di controllo del Parlamento e dilatò le spese dello Stato.

Anche in politica estera il Fautore del trasformismo non smentì sé stesso. Coerente con la sua incoerenza, Depretis, che avvertiva una istintiva simpatia verso i “cugini” francesi e che riteneva l’amicizia con la Francia più in sintonia con gli interessi italiani, non esitò a firmare il trattato delle Triplice alleanza con Austria e Germania ufficialmente «per rompere l’isolamento» del Paese dall’Europa egemonizzata dagli imperi centrali.

Che cosa sta accadendo oggi in e all’Italia? All’interno dei nostri confini (che nonostante l’Europa esistono ancora) notiamo come si stia andando verso quella decrescita felice tanto auspicata dal comico genovese Beppe Grillo e compagni. Pandemia a parte, si mortifica chi produce e si elargiscono benefici a chi non collabora a costruire il reddito nazionale.

All’esterno ce lo spiega lo stesso Primo Ministro: «Andiamo verso quell’ancoraggio alla comunità euroatlantica e a un multilateralismo avveduto, aggiornato e realmente efficiente» che rappresentano per il nostro Paese «un punto di riferimento imprescindibile della proiezione internazionale, come pure strumento migliore per far si che le logiche cooperative si impongano e prevalgano su quelle competitive». (Il Fatto quotidiano, 8 Ottobre 2019).

Capito la solfa? Stiamo sì, nella Nato, insieme ai Paesi dell’Occidente, ma con uno sguardo aperto al mondo, attenti ai nuovi scenari che la geopolitica presenta e nei quali la Cina sta facendo la parte del gigante con una politica sempre più aggressiva ed espansionista. È il solito vizio italiano: siamo amici di tutti. Un colpo al cerchio e uno alla botte, ma non troppo forte, per carità. Conte non ha capito, o ha capito molto bene (ed è per questo che si tiene stretto il potere fin che gli sarà possibile), che si sta rapidamente avvicinando il tempo delle scelte chiare: sì o no, dentro o fuori.

Per un politico come Conte, che non ha mai nascosto le sue origini di credente, dovrebbero avere un senso le parole dell’evangelista Matteo: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno»

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