A due anni dalla tragedia del ponte di Annone

di Alberto Comuzzi – Due anni fa, il 28 Ottobre 2016, crollava il cavalcavia sulla statale 36 ad Annone Brianza provocando la morte del lecchese Claudio Bertini e il...

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di Alberto Comuzzi – Due anni fa, il 28 Ottobre 2016, crollava il cavalcavia sulla statale 36 ad Annone Brianza provocando la morte del lecchese Claudio Bertini e il ferimento di altre cinque persone.

La tragedia, come altre del genere, molto probabilmente poteva essere evitata. Nel nostro Paese, purtroppo, tra le varie emergenze c’è anche quella della manutenzione delle strade, per non parlare di quella delle ferrovie, che merita un discorso a parte.

Aldilà della fatalità, di cui ovviamente tenere conto, sono troppi i morti provocati da una incuria endemica di vie cittadine, strade e autostrade d’intensa percorrenza, ponti, viadotti e cavalcavia.

Oltre al disastro provocato dal cedimento del ponte Morandi a Genova la scorsa estate, non si possono dimenticare i due morti per il crollo del ponte di Carasco, nell’entroterra Genovese, avvenuto il 22 Ottobre 2013, gli altri due morti e due feriti per il cedimento del ponte 167 sull’autostrada A14 a Camerano tra Loreto e Ancona Sud (9 Marzo 2017) e il crollo del viadotto sulla tangenziale di Fossano, che miracolosamente non è costato la vita a due carabinieri in servizio sul luogo (18 Aprile 2017).

Sono sotto gli occhi di tutti i costi umani e materiali quando crolla un ponte. Se è difficile accettare la morte, risulta ancor più complicato farsene una ragione quando questa è causata dalla negligenza di coloro che, per professione, dovrebbero invece scongiurarla seguendo semplici e collaudate procedure di sicurezza.

A quanto ammonta il danno economico delle aziende lecchesi che da due anni non possono più far transitare i propri veicoli commerciali sul ponte di Annone Brianza? Esiste un soggetto, un ente in grado di risarcirli? Interrogativi pleonastici ovviamente, che hanno però risposte concrete nel portafoglio degli imprenditori brianzoli (e non solo).

Preso atto che la viabilità di un Paese come il nostro rientra nel più ampio capitolo della messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale e che per questo occorro ingenti investimenti reperibili, forse, in un futuro non certo prossimo, ci verrebbe da commentare, con la proverbiale pazienza partenopea, “scurdámmoce ‘oppassato, simmo ‘e Napule paisá”.

Battute a parte, una proposta concreta che andrebbe sostenuta (e attuata) è quella dell’onorevole Gian Mario Fragomeli (Pd) che, nella passata legislatura, aveva prospettato di realizzare un sistema digitalizzato – su base regionale ma supervisionato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – con il quale poter raccogliere i dati del censimento delle infrastrutture viarie sospese come ponti, viadotti e cavalcavia, riportandovi l’anno di costruzione, la portata dell’infrastruttura, le condizioni strutturali e lo storico degli interventi di conservazione.

Oltre a ciò, la sua risoluzione prevedeva la creazione di una struttura telematica cosiddetta “open data” che permetta la gestione, in tempo reale, delle autorizzazioni ai trasporti eccezionali consentendo agli Enti territoriali e agli altri soggetti interessati la condivisione delle richieste e dei tracciati degli eventuali percorsi autorizzati.

Insomma un uso intelligente dell’informatica verso quella digitalizzazione e innovazione della pubblica amministrazione di cui tanto si sente il bisogno.

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