La Parigi bohémienne di Toulouse Lautrec in mostra a Monza

di Paola Mormina – Le sale della Villa Reale di Monza ospitano dal 10 Aprile al 29 Settembre 150 opere del maestro, trionfo della Belle époque parigina. Henri de...

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di Paola Mormina – Le sale della Villa Reale di Monza ospitano dal 10 Aprile al 29 Settembre 150 opere del maestro, trionfo della Belle époque parigina. Henri de Toulouse-Lautrec nacque in una delle famiglie più prestigiose della Francia (discendente diretta da Raimondo V conte di Tolosa) da genitori consanguinei com’era usanza nelle antiche famiglie nobiliari: il sangue blu non andava così disperso, ma contenuto all’interno di un’unica stirpe.

I genitori, primi cugini, non si sottrassero a tale consuetudine, trascinando in famiglia le funeste conseguenze di un matrimonio tra esseri nobili ma assolutamente incompatibili, trasmettendo inoltre al figlio quei geni malati che lo tormentarono durante tutto il corso della sua breve esistenza. Il giovane Henri cominciò già a fare i conti con il suo destino alla tenera età di dieci anni, quando gli venne diagnosticata una deformazione ossea congenita, la picnodisostosi, che gli procurava fortissimi dolori, oggi meglio conosciuta proprio come sindrome di Toulouse Lautrec. La malattia non gli permise mai un armonioso sviluppo scheletrico: le sue gambe smisero infatti di crescere così che da adulto, pur non essendo affetto da vero nanismo, rimase alto solo 1,52 cm, sviluppando un busto assolutamente normale sulle gambe di un bambino.

I lunghi periodi di convalescenza nell’immobilità assoluta gli risultavano noiosi, ma proprio grazie a quella che si preannunciava la sua più grande sfortuna iniziò ad approfondire la passione per la pittura e il disegno, iniziando così parallelamente il suo viaggio verso l’accettazione di qualcosa che non era esattamente ciò che i genitori avevano desiderato per lui. Il padre Alphonse sognava da sempre di poter rendere il suo piccolo ometto un gentiluomo con la passione per l’equitazione e della caccia, come tutti gli esseri di sesso maschile del suo rango sociale. Ma anche se le gambe non erano in grado di sostenerlo a dovere lui inizia la sua fuga da quel destino preannunciato, e corre Henri, immergendosi totalmente nella sua arte trasformando così quello che era un iniziale passatempo in una vera e propria vocazione.

Le centocinquanta opere provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene celebrano così la versatilità di uno dei più grandi artisti della Belle Époque, che dall’apertura del suo atelier a Parigi nel 1884 fino agli anni in cui la salute cagionevole non prese il sopravvento, sperimentò molteplici linguaggi artistici: pittura, illustrazione, ritrattistica, grafica. Tra le opere presenti in mostra, curata da Stefano Zuffi con il patrocinio del Comune di Monza e prodotta e organizzata da Arthemisia con la Nuova Villa Reale di Monza, ci sono litografie a colori (come Jane Avril, 1893) manifesti pubblicitari (come La passeggera dellacabina 54 del 1895 e Aristide Bruant nel suo cabaret del 1893) disegni a matita e a penna, grafiche promozionali e illustrazioni per giornali (come in La Revue blanche del 1895). Il petit homme familiarizzò molto presto con gli abitanti di Montmartre, quartiere dove scelse di aprire il suo atelier, e con gli avventori dei suoi locali. Qui si diede a un’esistenza sregolata e anticonformista, squisitamente bohémienne, frequentando assiduamente locali come il Moulin de la Galette, il Café du Rat-Mort, il Moulin Rouge e traendo da essi quella linfa vitale che animò le sue opere d’arte.

La sua natura lo spinse sempre dalla parte dei diseredati, degli ultimi, degli esclusi, delle vittime: pur essendo di matrice aristocratica, egli stesso si sentiva un emarginato, e questo certamente consolidò il suo affetto per le prostitute, per i cantanti sfruttati e per le modelle che bazzicavano intorno a Montmartre. “L’amore è quando il desiderio di essere desiderato ti fa stare così male che senti di poter morire” diceva, e lui cercava di annegare disperatamente quel bisogno di accettazione, di calore, di conformismo che lo portarono rapidamente tra le braccia dell’alcolismo e della sifilide sulla soglia dei trent’anni.

Istigato dall’assidua frequentazione dei locali di Montmartre, Toulouse-Lautrec iniziò a bere senza alcun freno, compiaciuto di gustare la vertigine del deragliamento dei sensi: fra le bevande che più consumava vi era l’assenzio, protagonista indiscusso di un’epoca maledetta e che offriva un rifugio consolatorio, anche se artificiale, a basso prezzo.

La sua salute degenerò totalmente nel marzo del 1899 con un violentissimo accesso di delirium tremens, dal quale non si riprese mai più nonostante i tentativi di cure e di ricovero ai quali si sottopose. Il piccolo uomo Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa, ultimo erede della gloriosa famiglia nobile sin dai tempi di Carlo Magno, si spegne così il 9 Settembre 1901, divorato dalle sue stesse cattive abitudini e assistito al capezzale da una madre disperata, che nonostante le scelte di vita eclettica così lontane dall’aristocrazia, non l’abbandonerà mai. Non aveva che trentasei anni, e forse ancora moltissime cose da raccontare.

Lascia in eredità ben 31 manifesti, 350 litografie e oltre 600 dipinti che racchiudono il cuore di un’epoca a cui spesso guardiamo con curiosità proprio grazie a colui che ha saputo raccontare la Ville Lumière dal punto di vista più basso, prendendosi gioco di un destino beffardo che l’aveva collocato sin dalla nascita dalla parte diametralmente opposta.

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