Olimpiadi: è emersa la centralità della famiglia

di Giulio Boscagli – A qualche giorno dalla conclusione delle olimpiadi può essere utile ritornare all’evento che per poco più di due settimane ha mobilitato l’attenzione del mondo....

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di Giulio Boscagli – A qualche giorno dalla conclusione delle olimpiadi può essere utile ritornare all’evento che per poco più di due settimane ha mobilitato l’attenzione del mondo. Si tratta del più importante tra gli eventi sportivi che tuttavia non riesce mai ad estraniarsi del tutto dallo svolgersi della complessità delle vicende mondiali.

Anche a prescindere dal drammatici fatti del 1972, quando la questione palestinese irruppe nell’olimpiade tedesca mietendo morte tra gli atleti israeliani, i giochi sono anche un termometro della febbre competitiva tra le nazioni.

E’ stato così per decenni quando a scalare il medagliere erano gli USA e l’URSS (col fiancheggiamento dei Paesi dell’est Europa), lo è in questo tempo quando la competizione globale è ormai tra gli stessi USA e la crescente potenza cinese. Si spiega così anche la volontà dei media americani di stilare la classifica delle nazioni in base al numero totale delle medaglie piuttosto che a quello dei soli ori e la conseguente esultanza per il sorpasso sulla Cina avvenuto anche nelle medaglie d’oro solo alla fine di giochi.

Anche in Italia il sentimento è stato governato dalla comunicazione secondo onde di emotività: esultanza per il primo oro il primo giorno, amarezza e delusione per i risultati della scherma, altalenanti commenti per il nuoto per poi esplodere di entusiasmo per l’atletica e il bottino complessivo realizzato a Tokio.

Che la competizione olimpica non possa svolgersi al di fuori della più ampia competizione tra le potenze mondiale ce lo ricordano anche le olimpiadi di Mosca (1980) e Los Angeles (1984), edizioni in cui la rottura tra URSS e USA dovuta all’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979) aveva fortemente ridotto le nazioni partecipanti.

E’ proprio il loro essere immerse nelle vicende del tempo che fa delle olimpiadi un veicolo importante di comunicazione per messaggi a livello universale : così anche per sostenere il percorso del disegno di legge Zan si è voluto che un’importante atleta dichiaratamente omosessuale fosse indicata come portabandiera olimpico, così come si è sottolineata l’analoga posizione di un’atleta medagliata.

Dato però che la realtà è più forte anche delle interpretazioni ci hanno pensato gli atleti italiani a riportare le cose nella giusta collocazione.

La messe di medaglie raccolte e gli orari delle dirette da Tokio che lasciavano scoperta la prima serata televisiva hanno spinto i giornalisti a coprire gli spazi con la ricerca di notizie personali sulla vita degli atleti. E’ quindi emerso con chiarezza che la struttura portante della società italiana, e quindi anche degli atleti, rimane la famiglia, quella che per il clima in vigore si è costretti a definire tradizionale , fatta di padri e madri, ma anche di fratelli di nonni e zii: tutti chiamati a commentare le imprese sportive arricchendole di particolari della vita.

Ne è emersa con chiarezza, per chi l’ha voluta vedere, la centralità della famiglia nella vita delle persone. Non una famiglia idealizzata ma una famiglia reale con tutti i suoi problemi di vita: abbiamo conosciuto mamme che hanno cresciuto da sole i figli, ragazzi affezionati ai nonni, gruppi familiari disinvolti di fronte alla telecamera e altri quasi in soggezione verso un mezzo che entrava in vite fino a quel momento del tutto riservate.

E assieme alla famiglia è emersa anche una struttura sociale capace di valorizzare e integrare le persone più diverse: penso ai corpi sportivi militari e della polizia nei quali sono presenti donne e uomini con storie e origini molto diverse e che si riconoscono nella comune appartenenza nazionale. Penso alle palestre che, in luoghi a volte degradati e spesso violenti, trasformano molta violenza giovanile in furore agonistico; ai tanti allenatori che, spesso in condizioni non facili, si prendono cura degli atleti con una dedizione speciale.

Fa parte di questa umanità anche la fragilità che in queste olimpiadi è stata in primo piano più che in altre occasioni. Ha commosso la crisi di ansia e stress della ginnasta americana come, quella di una nostra giovanissima nuotatrice. La risposta coraggiosa dopo malattie e infortuni come la crisi di chi da favorito non ce l’ha fatta e l’esultanza di chi ha sconvolto il pronostico.

Il motto olimpico “Citius, altius fortius” prevede che si vada sempre più veloci, più in alto, più forti, ma per chi sa vedere queste olimpiadi ci hanno restituito uno squarcio di umanità “normale”, uomini e donne, ragazze e ragazzi, atleti che non sono figli di nessuno, ma vengono da famiglie, amicizie, palestre in cui non mancano le contraddizioni, le crisi, le difficoltà, ma in cui ci si aiuta e sostiene a vicenda . E’ questa l’ossatura vera e buona del nostro paese, quella su cui si può contare non solo per arricchire il medagliere ma per vincere le sfide più ardue del tempo presente.

Fa specie che il Corriere della Sera, quello che un tempo sapeva leggere – pur dal punto di vista di una borghesia “illuminata”- il sentimento della nazione, possa scrivere che quelle di Tokio sono state le olimpiadi più LGBT della storia, commentando il “matrimonio” di due atlete americane. Al contrario, per chi le ha seguite a distanza, sono state le olimpiadi più family friendly, amiche della famiglia, ricche di umanità e raccontate con simpatia umana.

Del resto non deve stupire visto che sullo stesso giornale lo scrittore Saviano può affermare che le mafie saranno battute solo quando si cancelleranno le famiglie e favore di altre non meglio identificate aggregazioni.

Non resta che sperare che i risultati olimpici filtrino come un balsamo positivo anche nel dibattito culturale e politico così tristemente immiserito.

Foto di Gerhard G. da Pixabay

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