Annamaria Vezzani, la ricercatrice che indaga sull’epilessia

di Donatella Salambat – La giornata internazionale dell’Epilessia quest’anno viene celebrata l’8 Febbraio. Questo evento è un’opportunità per capire e affrontare i problemi che le persone affette da...

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di Donatella SalambatLa giornata internazionale dell’Epilessia quest’anno viene celebrata l’8 Febbraio. Questo evento è un’opportunità per capire e affrontare i problemi che le persone affette da questa malattia devono affrontare nel quotidiano. Una giornata dedicata ai pazienti affetti da questa patologia, alle loro famiglie ed alle problematiche relative all’inserimento nella società delle persone colpite dall’epilessia. Si tratta di una malattia ancora oggi poco conosciuta che interessa milioni di persone in tutto il mondo.

Gli eventi organizzati in molti Paesi hanno l’obiettivo di valutare come gli studi in ambito clinico e farmacologico possano influire sulla qualità di vita dei pazienti epilettici. Alpimediagroup, in occasione della Giornata internazionale dedicata alla malattia, ha rivolto alcune domande alla professoressa Anna Maria Vezzani, direttore del Laboratorio di Neuroscienze dell’Istituto Mario Negri, sullo stato dell’arte delle ricerche clinico farmacologiche sull’epilessia.

Può fare una classificazione dell’epilessia e in che cosa consiste la malattia?

È una malattia del cervello che si manifesta con crisi involontarie e improvvise determinate da scariche anomale di neuroni. È’ stata fatta una classificazione del morbo dalla Lega Internazionale contro l’Epilessia allo scopo di favorire una corretta diagnosi, vista l’eterogeneità della malattia, e un appropriato trattamento delle crisi epilettiche. La classificazione si basa principalmente su tre aspetti clinici: Uno, sul tipo di crisi epilettiche (ad origine focale, cioè crisi che originano in una zona ben determinata del cervello, oppure generallizzate, cioè quando coinvolgono entrambi gli emisferi cerebrali, o ad origine non identificabile). Due, sul tipo di epilessia che può essere  focale o generalizzata, o una combinazione focale e generalizzata. Tre, sulle cause della epilessia (se sono identificabili): ad esempio nelle epilessia cosidette acquisite, un trauma cranico severo, una ischemia cerebrale, una infezione del cervello, oppure nelle forme genetiche una mutazione di un gene, oppure possono esserci cause di auto-immunità (produzione di anticorpi contro proteine del cervello) o cause metaboliche (ad esempio mancanza di vitamina B6). Circa la metà dei casi di epilessia rimangono con cause sconosciute.

Nella terapia farmacologica dell’epilessia prevalgono i vantaggi nel controllo della malattia o gli effetti collaterali della terapia stessa?

Dipende dai farmaci assunti dal paziente e dalla risposta stessa del paziente al farmaco, entrambe molto personalizzate sia per gli effetti terapeutici (efficacia) che per gli effetti collaterali (tollerabilità). Esiste una notevole variabilità individuale spesso determinata da fattori genetici.

In riferimento alla farmacoresistenza nella terapia dell’epilessia quale ruolo potranno avere i farmaci Anakinra e Tollicizumab?

Per ora questi farmaci anti-infiammatori sono stati utilizzati per uso compassionevole in condizione di crisi catastrofiche, come avviene nella sindrome Fires nei bambini o giovani adulti. Poiché la risposta infiammatoria del cervello ha un ruolo nella generazione delle crisi anche in altre forme di epilessia acquisite più comuni, è possibile che questi farmaci abbiano una applicabilità clinica più vasta, ma sono necessari studi clinici per appurarlo. Nei modelli sperimentali noi abbiamo dimostrato che Anakinra ha un effetto anticonvulsivo importante che è stato successivamente convalidato in modelli di stato epilettico e in modelli di epilessia indotta da neurotrauma.

Nell’epilessia faramcoresistente e nelle forme epilettiche da trauma cranico quale è il ruolo svolto della proteina identificata come marcatore HMGB1?

Questi sono studi clinici in corso di svolgimento ai quali noi stiamo collaborando. Esistono comunque dati che mostrano che i livelli di HMGB1 misurato al momento del ricovero nel sangue dei pazienti con neurotrauma severo predicono la mortalità e i deficit neurologici che si sviluppano nel corso dell’anno successivo al neurotrauma.

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