In 160 pagine la vita di Fernanda Wittgens

di Paola Mormina – Sarà presentato oggi, 11 luglio alle 17.30 a Brera, il libro “Sono Fernanda Wittgens. Una vita per Brera”, scritto da Giovanna Ginex ed edito da Skira...

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di Paola Mormina – Sarà presentato oggi, 11 luglio alle 17.30 a Brera, il libro “Sono Fernanda Wittgens. Una vita per Brera”, scritto da Giovanna Ginex ed edito da Skira (pp. 160). L’opera è dedicata ad una figura importante nella storia e nel panorama culturale artistico milanese a sessant’anni esatti dalla sua scomparsa; una figura che vive più che mai tra le sale del “Louvre” milanese.

Storica dell’arte, direttrice della Pinacoteca di Brera e poi soprintendente, antifascista che scontò con il carcere la sua opposizione al regime: la vita di Fernanda Wittgens fu un susseguirsi di eventi che caratterizzarono in maniera indelebile la storia di Milano e quella della sua pinacoteca più importante, Brera.

Nata a Milano nel 1903, si laurea con lode in Storia dell’arte nel 1925 sotto la guida del professor Paolo d’Ancona, mentre nel 1928 approda a Brera come “operaia avventizia” svolgendo però funzioni tecniche e amministrative di ispettrice. Il direttore Ettore Modigliani vede in lei l’assistente ideale, tecnicamente e scientificamente preparata: capace, attivissima e instancabile.

Mentre la nube del fascismo inizia a coprire il cielo lei consolida sempre più quella sua personalità stimabile per professionalità e umanità al punto tale da continuare l’operato del suo direttore, allontanato dall’amministrazione delle Belle Arti proprio per antifascismo e costretto fino al 1939 al confino a L’Aquila anche a causa delle sopraggiunte leggi razziali, sino ad essere espulso dall’amministrazione dello Stato.

L’architetto Gino Chierici lo sostituirà nella carica di soprintendente per il triennio 1936-1938, ma Fernanda dopo essersi opposta duramente al suo allontanamento, lo terrà sempre informato in maniera segreta circa il suo operato. Nel gennaio 1940 partecipa e vince il concorso per direttore nel ruolo del personale dei monumenti, musei, gallerie, scavi e antichità ottenendo la nomina per la Pinacoteca di Brera, divenendo così insieme a Palma Bucarelli le prime donne in Italia a ricoprire tale incarico nel ruolo del personale dei Musei e Gallerie, mentre sullo sfondo inizia a delinearsi sempre più marcato il volto della guerra.

La priorità assoluta della Wittgens diviene proprio mettere in salvo le numerose opere d’arte della pinacoteca, quasi una sorta di minaccia profetica per Brera che vede crescere in parte le sue “napoleoniche origini” proprio da radici belliche, dato che l’imperatore fece convergere nel neonato museo (dove erano anche state allestite le “sale napoleoniche” tuttora attive) centinaia di opere trafugate in tutta Italia.

Il 15 agosto 1809, data d’inaugurazione ufficiale della pinacoteca coincidente con i festeggiamenti dei primi quarant’anni di Napoleone, si contavano già 139 dipinti tra cui lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, la Madonna del Bellini, le tele del Carpaccio e il San Gerolamo di Tiziano; soltanto quattro anni dopo erano già diventati 899, mentre nel 1824 arriverà il Cristo  morto del Mantegna, caposaldo della collezione.

Un patrimonio simile doveva a tutti i costi essere protetto, e la Wittgens assumerà un ruolo assolutamente centrale nella tutela del patrimonio artistico milanese e lombardo durante gli anni del conflitto spingendosi sino ad assumere oneri che andavano ben oltre i suoi compiti strettamente istituzionali, come nel caso del prezioso catalogo generale per autori della Biblioteca Braidense, nascosto sotto la sua responsabilità nel sotterraneo blindato di via Verdi.

I massicci bombardamenti costrinsero ad uno spostamento massivo di opere d’arte, e i trasferimenti vennero eseguiti in condizioni difficoltose con scarsità di personale e con mezzi di fortuna recuperati tra enormi difficoltà, eppure Fernanda volle sempre accompagnare le opere di persona sui camion, rimanendo vigile e attenta a fianco dei guidatori.

L’impegno per la salvezza di Brera non le impedirà però di giungere ad una lucida percezione della gravità del momento politico, testimone della pericolosità e della violenza del fascismo che le aveva strappato alcuni degli amici più cari come il direttore Ettore Modigliani, ebreo come il suo professore Paolo d’Ancona.

Assumerà così chiare posizioni politiche di netta opposizione al regime, e il suo prestigio personale congiunto alle solide amicizie sulle quali poteva contare le consentiranno sin dallo scoppio della guerra di poter aiutare familiari, amici, perseguitati, ebrei, a espatriare. All’alba del 14 luglio 1944 a causa della delazione di un giovane ebreo tedesco collaborazionista che aveva soccorso organizzandogli l’espatrio, Fernanda è arrestata e condannata dal Tribunale speciale a quattro anni di carcere.

Nei verbali dei primi interrogatori a Como non potendo negare il fatto contestato tenterà di circoscrivere le sue responsabilità all’assistenza del solo giovane che l’accusava, manifestando però apertamente il suo antifascismo e facendo inserire la dichiarazione nel verbale.

Il suo sentimento antifascista era basato soprattutto sul profondo dissenso nei confronti delle leggi razziali, e con orgoglio ricorderà ai questurini ancora una volta il suo primo maestro, Paolo D’Ancona , che dal 1943 era riparato in Svizzera, e lo stesso Modigliani. “Quando crolla una civiltà e l’uomo diventa belva, chi ha il compito di difendere gli ideali della civiltà, di continuare ad affermare che gli uomini sono fratelli, anche se per questo dovrà …pagare? Almeno i così detti intellettuali, cioè coloro che hanno sempre dichiarato di servire le idee e non i bassi interessi…..L’errore delle mie sorelle e tuo è di credere che io sia trascinata dal buon cuore o dalla pietà ad aiutare, senza sapere il rischio. È invece un proposito fermo che risponde a tutto il mio modo di vivere: io non posso fare diversamente perché ho un cervello che ragiona così, un cuore che sente così”scriverà di suo pugno in una lettera indirizzata alla madre il 13 settembre 1944, dal carcere di San Vittore.

La sua intensa vicenda biografica, grazie al libro di Giovanna Ginex, è oggi ricostruita per la prima volta in modo completo attraverso un attento spoglio dei documenti e delle testimonianze che ha consentito di approfondire la sua trentennale attività a Brera.

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